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La rigenerazione urbana potrà essere il motore della ripresa post Covid-19

di Paola Dezza

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Il settore immobiliare è infrastrutturale e merita parte del Recovery fund. Al Re&Finance Summit del Sole 24 Ore 2.500 iscritti e mille utenti collegati

23 settembre 2020
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3' di lettura

La sfida è complessa, ma se vinta permetterà a molti quartieri delle nostre città di cambiare volto, ripristinare una vita di qualità, sicurezza e servizi. La rigenerazione urbana è l’occasione per ricucire periferie dimenticate e quartieri dormitorio con il resto delle città.
La sfida, che è stata accelerata dalla pandemia da coronavirus, è rivisitare intere zone da dotare di servizi funzionali anche a sacche della popolazione che si trovano in posizioni difficili o disagiate.

Come farlo? La politica deve iniziare a leggere il real estate come infrastruttura, nella quale viviamo, lavoriamo, facciamo acquisti e così via. Perché l’apporto del segmento pubblico è essenziale nell’individuare progetti perlomeno di medio periodo.

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In occasione del terzo appuntamento del Real Estate & Finance summit del Sole24Ore (con 2.500 iscritti e mille utenti collegati) ieri si è discusso di come la rigenerazione urbana possa fare da traino alla ripresa del settore immobiliare e dell’economia. In sei mesi abbiamo vissuto cambiamenti epocali. Di stili di vita e di lavoro. Ed è cambiata la domanda immobiliare sia residenziale sia di natura commerciale. Quale la risposta del settore? «È una industria che vale moltissimi punti del Pil, con l’indotto - ha detto Mario Abbadessa, a capo di Hines in Italia -. Oggi la rigenerazione urbana può dare risposte, in termini di servizi, soprattutto a certe fasce della società. Dalle mamme che cercano spazi per lavorare da casa alle giovani coppie che cercano affitti a canoni sostenibili. L’immobiliare deve assumere una valenza sociale». Tema caro anche a Luigi Aiello di Prelios, che sottolinea la necessità di servizi ad hoc per specifiche categorie di abitanti.

Si è parlato anche di Recovery fund e di come questi fondi se destinati in parte all’industria immobiliare potrebbero essere un importante volano per la crescita. «Il real estate è una infrastruttura e così va valutata - ha detto Aldo Mazzocco, ceo di Generali real estate -. Non credo che il Covid-19 porti alla deurbanizzazione e a uno svuotamento definitivo degli uffici - evento che provocherebbe una crisi pesante vista l’importanza dell’asset class nei portafogli dei grandi investitori -. Viviamo cambiamenti transitori, alcuni diventeranno permanenti ma non in maniera tale da stravolgere il mondo immobiliare».

«Il Covid modificherà in parte le abitudini della gente - dice Stephen Coticoni di Bnp Paribas Re -. Ma di fatto ha solo accelerato processi già presenti come lo sviluppo dell’e-commerce, della logistica e del flexible work». Variazioni nelle abitudini di vita che incideranno sul modo di progettare riqualificazioni urbane che, come ha sottolineato Valeria Falcone di Barings, ormai riguardano quartieri interi e spicchi di città e non più il singolo edificio. Bisogna puntare a replicare modelli nati a Milano, che ha fatto da apripista, in città secondarie ma fertili al cambiamento. Come il progetto che Varde sta terminando a Bologna.

L’urgenza della rigenerazione da trasmettere al settore pubblico punta a trattenere i capitali esteri, interessati all’Italia ma pronti a trasferirsi altrove se qui non ci sono le condizioni. Caso di scuola è stato quello dell’ex area Expo oggi Mind dove Leandlease porta avanti l’idea di innovazione. In questo senso bisogna pensare di allargare lo spettro d’azione nella residenza. «È questo un filone da copiare dall’estero - dice Davide Albertini di Risanamento -. Abbiamo bisogno di istituzionalizzare il mercato della residenza, anche con il build to rent».

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