di Marco Maglione *
(via REUTERS)
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È una tranquilla serata di inizio marzo, siete a casa e state preparandovi per la cena. Decidete di accendere la televisione, per ascoltare le ultime notizie ed aggiornarvi. All'improvviso scoprite che c’è un’emergenza, che riguarda non solo voi ma anche molte altre persone. Siete perplessi, la situazione è anomala, non siete abituati. Come reagite? Panico? Reagite di impulso? Probabile.
Perché questa reazione? Lo sappiamo, le neuroscienze lo hanno chiarito e dimostrato da tempo. Il tutto avviene in modo automatico, l’amigdala prende il sopravvento. È la classica reazione di “fight or flight”, cioè di lotta o fuga. Quando uno stressor qualsiasi allerta il nostro sistema nervoso, noi umani reagiamo e rispondiamo seguendo meccanismi neurobiologici ormai noti. Ma non è questo il punto, sin qui niente di nuovo, il corpo umano è una macchina biologica altamente intelligente, risponde all’ambiente in maniera adattiva, per proteggersi e, quindi, sopravvivere.
Il tema, invece, è capire come evitare che ciò accada, soprattutto nei casi in cui una simile reazione da parte di molte persone potrebbe causare problemi. Se la nostra reazione, in quanto esseri umani, è nota, allora è necessario che si lavori “a monte”, e cioè sull’input che scatena la nostra reazione, sia essa emotiva o comportamentale. E questo è particolarmente importante in situazioni di potenziale allarme sociale, ma similmente anche quando all’interno delle organizzazioni occorre condividere e comunicare senza generare effetti indesiderati e potenzialmente negativi.
La differenza risiede nel modo in cui le persone ricevono ed assegnano un significato alle comunicazioni/informazioni. E qui entriamo nel campo vero e proprio della comunicazione.Le più recenti teorie in proposito hanno chiarito diversi meccanismi comunicativi, e ci aiutano a comprendere come “orientare” o influenzare nella direzione voluta la risposta all’evento comunicativo.
In particolare, è ormai nota la forza degli effetti del cosiddetto “framing”.Il primo a esprimere l'idea che l’organizzazione delle informazioni o di aspetti frammentari della realtà avvenissero attraverso i frames fu il sociologo americano Erving Goffman. È un fenomeno studiato da tempo sia in sociologia che in psicologia, il quale invalida in gran parte l’assunto che le persone siano razionali nelle proprie preferenze e nel processo decisionale. L’effetto framing, detto anche “effetto inquadramento” (“frame” significa anche “cornice”), ha in sostanza molto a che vedere con il contesto nel quale le esperienze, e quindi anche le comunicazioni ed informazioni che riceviamo, acquisiscono per noi un senso piuttosto che un altro.
In altre parole, i frames servono a valutare le informazioni che riceviamo ed a colmare i vuoti quando queste mancano o sono ambigue. In quanto tali, i frames forniscono, dunque, una guida interpretativa alla scelta, alla rilevanza ed alla interpretazione delle informazioni.Posti di fronte a contesti sostanzialmente identici, gli individui decidono ed agiscono in modo diverso a seconda dell’inquadramento (“frame”) adottato. Adottare un “frame positivo” piuttosto che un “frame negativo” porta ad effetti completamente diversi. Contribuire a creare un “framing” rispetto ad un altro, quindi, significa orientare e influenzare anche il comportamento di risposta delle persone che ricevono la stessa comunicazione.
La teoria dei frame ci dice che semplicemente attraverso l’uso del linguaggio, e relative metafore, parole, concetti eccetera, noi siamo in grado di influenzare l’attività cognitiva del nostro (o dei nostri) interlocutori. Ad esempio, se dico a qualcuno «non pensare ad un elefante, non pensarci in nessun caso,…» lo induco, inevitabilmente, a pensare proprio ad un elefante. La direttiva data non è assolutamente realizzabile, perché per non pensare ad un elefante è proprio necessario pensare ad un elefante. E questo è il punto.
Le più recenti strategie di comunicazione basate sullo “storytelling” non fanno altro che utilizzare in maniera pervasiva e continuativa questa tecnica, e cioè creare una successione di frames che contribuiscono a costruire una percezione o interpretazione del contesto che sia coerente con quella auspicata e voluta.
In caso di crisi o di emergenza la comunicazione e le informazioni diventano la “materia prima” sulla base delle quali si prendono decisioni e si agisce in una direzione o in un’altra, e quindi creare un frame piuttosto che un altro diventa una variabile chiave. Se devo informare o comunicare alle persone un qualcosa di probabilmente spiacevole, che potrebbe generare ansia e preoccupazione, ed anche essere causa di comportamenti distonici rispetto all’obiettivo, come potrebbe ad esempio accadere in situazioni di emergenza, è importante che il frame creato sia efficace e coerente e non, invece, controproducente.
Questo accade sia in ambito sociale che in ambito organizzativo e aziendale. Un esempio noto è quello adottato qualche tempo fa dalla British Petroleum, in occasione di un ingente versamento di petrolio da una loro nave, e per il quale i media descrissero BP come un’azienda irresponsabile che distrugge l’ambiente. BP, invece, impostò la propria comunicazione “inquadrandosi” come qualcuno che si dedica alla risoluzione della crisi petrolifera. Tra le altre cose, l’azienda mise in luce nuove soluzioni tecnologiche per l’estrazione e la lavorazione e si presentò come un “fornitore di soluzioni” anziché come il responsabile della fuoriuscita di petrolio.
Iniziare con i dati positivi prima dei dati negativi può contribuire a percepire diversamente il contesto, così come mostrare grafici e trend invece di dare solo numeri. Iniziare una presentazione dando estremo risalto alle misure già adottate per rispondere ad una situazione di crisi produce un frame positivo che mitiga la percezione degli elementi negativi, siano essi relativi alla riduzione dei costi o, peggio, alla riduzione del personale.
Anche semplicemente le parole che utilizziamo hanno un ruolo nella creazione di un frame piuttosto che di un altro. Parlare e scrivere di “climate change” invece che di “global warming” trasmette una sensazione di minore ansia.La gestione della comunicazione e dell’informazione alle persone, in un’azienda o in un contesto sociale più ampio, deve tenere conto di tale effetto per evitare di generare percezioni ed azioni non desiderate. («“The way in which the world is imagined determines at any particular moment what men will do». Walter Lippmann, Public Opinion, 1921)
* Senior Consultant Newton SpA
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