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Luca Lo Pinto ci conduce per Roma, fra le memorie di scrittori e politici

di Lisette Ribic

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Luca Lo Pinto davanti a “Catabasi” (2020) di Giovanna Silva, al Macro.

Luca Lo Pinto davanti a “Catabasi” (2020) di Giovanna Silva, al Macro.

Per il direttore artistico del Macro, il ritratto più autentico della capitale è ancora la domenica a Porta Portese.

27 novembre 2020
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4' di lettura

Dopo sei anni a Vienna, dove ho lavorato come curatore per la Kunsthalle, sono tornato a Roma pochi mesi fa per iniziare una nuova avventura: la direzione artistica del museo Macro . Un ritorno a casa, perché è la città in cui sono cresciuto e dove ho cominciato a lavorare a partire dal 2004, dando vita alla rivista e casa editrice Nero. Roma è una città verso la quale nutro un sentimento ambivalente. È seducente, selvaggia, cinica, empatica. Ti ipnotizza e ti ci puoi perdere. È imperiale e provinciale nello stesso tempo. È una città democratica e generosa: un museo a cielo aperto dove tutti possono godere di capolavori pittorici, scultorei e architettonici senza pagare il biglietto.

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La Chiesa di Santa Maria in Vallicella.

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il Giardino di Ninfa, a Cisterna di Latina.

Gestire un'istituzione culturale qui può essere un'impresa veramente complessa e regalarti delle gioie difficilmente raggiungibili in altre città. Il non avere mezze misure è il suo lato più affascinante e stimolante. Per ripararmi dalla violenza sonora e visiva che caratterizza la città, cerco sempre dei rifugi. Solitamente mi piace fermarmi nelle chiese, anche quelle che non conosco, dove non sono mai entrato. Torno spesso in quelle più vicino a casa: la barocca Chiesa del Gesù, la Chiesa Nuova, o Santa Maria in Vallicella, dove è sepolto uno dei più grandi artisti del Novecento, Cy Twombly. Altrimenti mi reco in pellegrinaggio al museo del louvre, che non è un museo, bensì un negozio che vende libri usati e foto ritrovate, dove ti puoi imbattere in lettere originali di Ezra Pound e libri futuristi. È un luogo speciale dove perdersi, accompagnati dal suo Virgilio, ovvero Giuseppe Casetti, una sorta di antiquario anarchico. La sua bottega è il luogo delle sue ossessioni, dove spesso organizza mostre di fotografi (come Mario Dondero o Paolo Di Paolo) e non solo. Per la mostra inaugurale del Macro mi ha permesso di utilizzare parte del suo archivio del fotoreporter di Paese Sera, Marcello Salustri: tra le oltre 10mila immagini, ne abbiamo selezionate 1.500, scansionate e proiettate in loop. Un poetico e affascinante ritratto visivo della Roma degli anni Cinquanta e Sessanta.

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“Jugalbandi”, una mostra di nuovi lavori scultorei di Lorenzo Vitturi, alla Galleria T293.

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“Samberrüt”, olio su tela, parte dell'installazione “Antares” (2020), di Diego Gualandris, in mostra alla Galleria Ada, fino al 28/11.

Nel cibo sono abbastanza abitudinario. Odio i piatti squadrati, le finte cucine elaborate e gli arredamenti in cerca di uno stile che non c'è. Per sentirmi a casa vado da Rocco a Monti, dove il menu cambia giorno dopo giorno, o da Settimio al Pellegrino, dove la scelta è minima e, quindi, si mangia bene. Due ottimi esempi di cosa dovrebbe essere oggi un ristorante. La gestione familiare è un antidoto all'omologazione del gusto. Un hotel? Consiglio un classico come l'Hotel Locarno e suggerisco una visita da Bomba, storico negozio di abbigliamento che si trova dall'altra parte della strada. Sono affezionato al Bar Perù, un tempo crocevia di incontri inaspettati, oggi purtroppo gentrificato dalla young wave romana del centro.

Come dice il grande artista Luigi Ontani, Roma è una città di tribù che la guidano con le loro forze e debolezze e che nessuno riesce a domare. Tuttavia quest'anarchia produce ancora oggi una scena musicale, artistica e cinematografica viva. Passeggiando per Trastevere, in poche centinaia di metri, si può vedere una mostra nella chiesa sconsacrata di Sant'Andrea de Scaphis, nella galleria T293 o nella galleria Ada; oppure visitare l'atelier boutique di TL 180, del duo creativo Luisa Orsini e Antonine Peduzzi, che disegnano borse e vestiti con un tocco unico e realizzano maglieria su misura. Chi è in cerca di autenticità, di stili e decori meno globalizzati, a Roma può ancora trovare delle vie di fuga. Comprare i calzini da Gammarelli che rifornisce il papa e i cardinali, o rifugiarsi da Schostal, una vecchia bottega con interni in boiserie, per comprare intimo: amo i loro pigiami e i classici boxer di cotone, modelli semplici che non sono mai cambiati. Oppure fare un tuffo negli anni Cinquanta con una colazione al Bar Pasticceria Dagnino (magari con un cannolo siciliano, visto che mio nonno è di Pantelleria). È dentro la Galleria Esedra, che ti accoglie, tra l'altro, anche con un piccolo, ma rifornitissimo negozio storico di accessori da uomo: Muzio. Quando cerco un profumo particolare vado, invece, da HB Roma, a via dei Due Macelli. Al momento uso Bergamask di Orto Parisi, creato da Alessandro Gualtieri, il naso diventato famoso con Black Afgano.

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Una delle fotografie della mostra “La Camera Scura – Esplorazioni e ricerche sulla fotografia come forma di vita” di Giuseppe Casetti,

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“Iraq Again?” (2005) di Melvin Edwards, parte della mostra “Museo per l'Immaginazione Preventiva — Editoriale” (2020), al Macro.

Sono un appassionato di case museo e, negli anni a Roma, sono riuscito ad aprirle per mostre con artisti contemporanei. L'ho fatto a casa del grande storico dell'arte Mario Praz, nel 2006; nella casa e studio dove visse De Chirico a Piazza di Spagna, nel 2012; e nell'atelier di Hendrik Christian Andersen, scultore norvegese di fine Ottocento, nel 2013. Luoghi per me affascinanti perché sono delle time capsule: i dipinti, i libri, i mobili, ti raccontano un tempo che è rimasto sospeso. Nessuna di queste case museo – che consiglio di andare a visitare, quando di nuovo si potrà – aveva ospitato in precedenza delle mostre di arte contemporanea. In tal senso è stata una sfida entrarci e cercare di amplificarne il senso, stabilendo un dialogo col presente. È stato anche un modo per crearmi un museo ideale e unico dove lavorare. E adesso, il mio sogno nel cassetto è una mostra nella casa della leggendaria Carol Rama, a Torino.

Per chi vuole uscire da Roma, suggerisco un classico come il Giardino di Ninfa, uno spazio verde all'inglese, nato su iniziativa del nobile Gelasio Caetani nel 1921, sull'area di una scomparsa cittadina medioevale, Ninfa appunto, di cui sono rimasti dei ruderi. Un luogo di natura, fiori e stratificazioni. Rimanendo dentro l'urbe, consiglio il lago ex Snia - Viscosa, sulla Prenestina: nato in modo accidentale durante i lavori per la costruzione di un parcheggio sotterraneo mai realizzato. E poi il Cimitero Acattolico, dove è sepolto Keats. Passeggiando per Testaccio, improvvisamente ci si imbatte in una bolla di silenzio tra i cipressi, si cammina tra le lapidi di Shelley e Gregory Corso, di Gramsci ed Amelia Rosselli. Amo molto i cimiteri, sono una delle prime cose che visito quando arrivo in una città che non conosco. Tuttavia la guida migliore per scoprire il bestiario umano che popola la città è una visita al mercato di Porta Portese la domenica mattina. Un caleidoscopio di volti, costumi, odori che offre il miglior ritratto di Roma dove, alla fine, il vero lusso è spendere poco.

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Profumo Bergamask, Orto Parisi (50 ml, 138 €)

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