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Scuole chiuse per pandemia: come va nel resto del mondo?

di Angela Manganaro

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Scuola a Wuhan

Scuola a Wuhan

L’Unesco calcola che il 60% della popolazione studentesca nel mondo è danneggiato dalla pandemia. Percentuale schizzata al 90% in primavera

11 luglio 2020
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4' di lettura

È utile o no chiudere le scuole? Davvero la chiusura serve a limitare il contagio da nuovo coronavirus in una comunità, città, paese, al di là dei rischi che corrono insegnanti e studenti? È questo uno dei punti più dibattuti soprattutto in Italia, paese la cui opinione pubblica, in generale e con la pandemia in particolare, oscilla tra l’irrefrenabile desiderio di lodare gli altri paesi per denigrare il proprio e l’improvvisa insularità se non proprio sordità quando si toccano temi percepiti come vicini, troppo vicini. La scuola è un tema percepito come molto vicino, intimamente domestico nonostante l’istruzione sia una questione globale. Lo ha capito pure Donald Trump che nonostante guidi uno dei paesi più devastati dalla pandemia - gli Stati Uniti sono l’unico paese avanzato che non ha tuttora una strategia per contrastarla - vuole ora che le scuole riaprano, è importante per i bambini e le famiglie, sostiene. Le scuole che rimarranno chiuse - minaccia il presidente in piena campagna elettorale e in corsa per la rielezione - non riceveranno i fondi statali.

In questo anno di pandemia ci si lamenta in Italia che la scuola è la grande dimenticata dell’emergenza, non importa che scienziati come Ilaria Capua abbiano suggerito di lasciar perdere queste polemiche per l’elevato rischio di contagio amplificato dalle scarse misure igieniche tipiche della noncuranza bambinesca e giovanile.

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La pandemia continua a spaventare quattro continenti su cinque (solo l’ Europa in questo momento vive una relativa tranquillità) e ovunque le scuole sono l’avampasto del contrasto al Covid19. L’Unesco calcola che il 60% della popolazione studentesca nel mondo è danneggiato dalla pandemia che ha costretto a chiudere le scuole. Danno che si fa più evidente e drammatico in quei paesi in cui non esiste la possibilità delle lezioni a distanza o semplicemente un computer a casa.

La mappa aggiornata dell’Unesco

Sul sito dell’Unesco (qui) si può seguire l’andamento delle aperture e chiusure delle scuole in giro per il mondo dall’inizio della pandemia. Una lettura interessante. Attualmente, situazione del 9 luglio, e tenendo anche conto che siamo nella stagione estiva, le scuole sono completamente aperte in Groenlandia, Francia, Bielorussia, Ecuador, Australia, Uruguay, Niger, Colombia, Svezia e Norvegia, Lettonia, Vietnam. Una mappa poco razionale, difficile trovare un filo comune o un modello di efficienza da sbattere con liberatoria indignazione in un post su Facebook.

Negli altri paesi la chiusura delle scuole è generalizzata cioè riguarda tutto il territorio nazionale, o è mirata cioè localizzata in zone con focolai. Il 9 luglio dunque, oltre un miliardo di studenti nel mondo (1.067.590.512 per la precisione), è colpito da provvedimenti di lockdown per pandemia da coronavirus, il che equivale al 61% degli iscritti sparsi in 110 paesi.

Scorrendo indietro nel tempo la mappa, ad esempio il 20 aprile, si verifica una situazione di gran lunga peggiore con oltre un miliardo e mezzo di studenti a casa, vale a dire il 90 per cento degli iscritti in 187 paesi (tra i paesi che non hanno mai chiuso le scuole il Nicaragua, Taiwan e la Svezia).

La chiusura delle scuole è la misura cui tutti ricorrono, emergenziale, di facile applicazione, costa poco allo stato, molto alle famiglie e agli interessati. La riapertura è decisione che nessun governo prende alla leggera. La Francia, un buon esempio. A inizio maggio il presidente Macron annuncia solenne, applausi in Italia, che l’inizio della fase 2 del contrasto alla pandemia in Francia avrebbe coinciso con la riapertura delle scuole. La riapertura è stata poi molto graduale, con le superiori che hanno riaperto a fine mese e le medie il 18, ritorno a scuola scaglionato per classi di età, intralciato da focolai a Roubaix e a sud di Parigi che hanno costretto a richiudere solo una settimana dopo.

Un altro paese che ha riavviato le scuole a metà maggio è Israele ma due settimane e un focolaio dopo la riapertura si è riparlato subito di richiudere.

La paura che contagia anche gli efficienti

Ora che sono passati più di sei mesi dall’inizio ufficiale della pandemia da Covid19 - il 30 gennaio 2020 la Cina comunica la scoperta della sconosciuta patologia all’Oms - si assiste a paesi che hanno chiuso le scuole con l’emergere dell’infezione, hanno riaperto dopo averla debellata, stanno richiudendo con il riemergere dei contagi. Da ultimo, l’efficiente Hong Kong, città stato colpita a fine inverno dal virus poi debellato e adesso riemerso: la pausa estiva per gli studenti avrebbe dovuto iniziare a fine luglio ma verrà anticipata a lunedì 13 luglio. Persino la Cina che da mesi proclama al massimo una decina di contagi su una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone e ha combattuto con tutto il suo vigore per un completo ritorno alla normalità, ha permesso lo svolgimento del Gaokao, il temibile esame di ammissione alle università che riguarda circa 10 milioni di giovani cinesi, solo pochi giorni fa, il 7 e 8 luglio, quindi mesi dopo la fine dell’emergenza innescata dalla prima ondata di contagi a Wuhan.

Un altro esempio di stato efficiente che tuttavia dovuto soccombere e sacrificare gli studenti appena tornati in aula è stata la Corea del Sud. Sembrava il paese meglio attrezzato grazie a screening di massa e tracciamento digitale, a inizio maggio si dichiarava fuori dall’emergenza e gradualmente riapriva. A fine mese chiudeva 200 scuole per il nuovo incremento di contagi in particolare nell’area metropolitana di Seul con il paradossale caso di studenti che si erano appena riseduti tra i banchi il giorno prima per rimanere a casa il giorno dopo.

Esperimenti di successo

Le cose sono andate meglio in Austria, Germania (dove gli studenti delle superiori sono testati due volte a settimana) e soprattutto Danimarca, indicato come esempio europeo di efficienza nella riapertura. Questi tre paesi hanno deciso di riaprire le scuole tra fine aprile e inizio maggio. In Danimarca il capo del dipartimento di virologia sperimentale dell’università di Copenhagen, Allan Randrup Thomsen, non era affatto convinto che riaprire fosse la scelta giusta ma poi ha dovuto ammettere che non vi era stato alcun effetto negativo e i contagi non erano risaliti, nonostante i modelli matematici dicessero il contrario. Pochi paesi al mondo però possono vantare le strutture e l’organizzazione scolastica garanzia di distanziamento della Danimarca. Certo non l’Italia.

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