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Il Pnrr senza le gambe delle riforme e della resilienza

di Corrado Clini

26 gennaio 2021
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2' di lettura

Ci hanno raccontato per mesi che arriveranno 209 miliardi dall'Europa. Ma si sono dimenticati di assumere le decisioni che rappresentano le condizioni necessarie per ricevere e utilizzare queste risorse. Il 25 maggio 2020 la Commissione Europea ha raccomandato all'Italia (“Country specific recommendations”) di “migliorare l'efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione”. Il 28 novembre 2020 Ursula von der Layen ha ricordato che le riforme della pubblica amministrazione e della giustizia sono condizioni necessarie per l'utilizzazione delle risorse destinate all'Italia dal Next Generation UE e “per attirare investimenti e dare fiducia all'economia”. Ovvero i progetti non potranno essere condizionati da procedure incerte con tempi non prevedibili, da iniziative arbitrarie e da scarsa capacità amministrativa. La Presidente della Commissione Europea aveva evidentemente sottomano i dati della utilizzazione dei Fondi strutturali 2014-2020 destinati all'Italia: l'Ufficio Studi della Camera ha certificato il 29 settembre 2020 che è stato rendicontato solo il 30,7% delle risorse. Una situazione incompatibile con i fondi di Next Generation che devono essere destinati a progetti cantierabili da completare entro 6 anni finanziati su stati di avanzamento. Per raggiungere questo obiettivo le riforme della pubblica amministrazione e della giustizia sono una “infrastruttura” urgente e preliminare all'avvio dei progetti.
Il PNRR, inoltre, dovrebbe contenere in premessa le riforme approvate, e non auspicate. Invece la bozza del PNRR sembra confondere le riforme con la pure urgente e necessaria digitalizzazione di procedure e uffici. Né è sufficiente fare affidamento sul decreto semplificazioni che non solo non ha delegificato ma in molti casi ha complicato invece di semplificare.
Sul fronte ambientale non è facile passare dalle parole ai fatti. Nel PNRR si invita a “implementare il paradigma dell'economia circolare, con misure volte alla riduzione dell'uso di combustibili fossili anche a favore di combustibili derivati da rifiuti”, ma c'è voluta una sentenza del TAR alla fine del 2020 per riconoscere che l'impiego del combustibile solido secondario (CSS) derivato dai rifiuti, regolamentato dal “decreto Clini” del 14 febbraio 2013, riduce in modo significativo le emissioni dagli impianti di produzione del cemento ed è coerente con il quadro europeo per la promozione dell'economia circolare. L'attuazione del decreto è ostacolata dal Ministero dell'Ambiente e da stravaganti procedure adottate in molte Regioni. Mentre si proclama l'obiettivo dell'economia circolare, i rifiuti delle Regioni del centro e del sud dell'Italia continuano a viaggiare per l'Europa con costi altissimi e l'Italia paga da 5 anni una multa di 125.000€ al giorno per la mancata gestione dei rifiuti in Campania.
Il Piano Nazionale Integrato di Energia e Clima (PNIEC) prevede che entro il 2030 la produzione di elettricità da fonti rinnovabili passi dagli attuali 52 GW a 100 GW. In questo quadro il solare fotovoltaico deve passare da 20 GW a 50 GW. Secondo le associazioni dei produttori la realizzazione degli impianti necessari per raggiungere questo obiettivo muove investimenti privati per almeno 20 miliardi, 100.000 posti di lavoro aggiuntivi nella fase di realizzazione degli impianti (entro 5 anni) e 45.000 nuovi occupati stabili. Ma questo percorso incontra ostacoli al momento insormontabili per le regole e le procedure di autorizzazione. E la semplificazione non è un'opzione ma un obbligo se si vogliono raggiungere gli obiettivi.

Corrado Clini è stato ministro dell’Ambiente nel periodo 2011-2013

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