di Jacopo Giliberto
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Dalla sala controllo della Tap in località Masseria del Capitano, comune di Melendugno, provincia di Lecce, Puglia, sono state aperte le valvole e il metano che ha attraversato il Caucaso e i Balcani ha sibilato fino all’impianto adiacente della Snam, separata da una strada e dalle recinzioni. E la sala controllo della Snam a San Donato Milanese ha dato il via libera all’impianto in contrada Gonella, zona Restinco, fra Mesagne e Brindisi, da dove il gas entra nella rete nazionale e pulsa nelle arterie del gas. Ora deve rimarginarsi la cicatrice dello scavo lungo 65 chilometri nelle campagne di olivi sofferenti di xylella fra Melendugno e Brindisi.
La promessa di Luca Schieppati, a capo del progetto, era: il Tap sarà pronto entro il 2020. Domenica 15 novembre ha cominciato l’attività commerciale con le consegne di metano in Italia il gasdotto Tap, che comincia nell’Azerbaigian appena uscito da una guerra convulsa e brevissima con l’Armenia, attraversa la Turchia e la Grecia, s’inerpica sulle montagne del Pindo e scende sino alla piana di Fier in Albania , s’inabissa sotto l’Adriatico ed emerge alle spalle delle spiagge di Melendugno.
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I lavori non sono finiti. È finita la parte industriale, cioè la posa del tubo e gli impianti che servono a regolare il flusso del metano. Non è finita invece la parte esterna, quella visibile. Betoniere e ruspe stanno ripristinando i terreni, si acconciano i muretti a secco tradizionali, si rassettano gli attraversamenti delle strade e dei fossi.
La ferita dello scavo per decine di chilometri fra Melendugno e Brindisi è ancora aperta, la terra rossa è nuda e deve ricrescervi sopra l’erba, mentre si ripiantano a uno a uno gli olivi che vi erano stati spostati.
Ogni olivo, sono migliaia, ha una targhetta con un codice a barre che dice il punto esatto georefereziato e anche il lato di orientamento al sole.
In mezzo a un deserto di milioni di olivi disseccati dal batterio della xylella, questi olivi che per alcuni anni soni stati conservati sotto teli di protezione sono i soli sfuggiti al contagio, verdi e rigogliosi in un panorama di oliveti massacrati dalla malattia.
Sono 1.183 gli olivi spostati e ora in via di rientro negli 8 chilometri del tratto Tap fra il mare e l’impianto di Masseria del Capitano, ma sono decine di migliaia quelli lungo il percorso di spettanza della Snam.
Il “popolo degli olivi” era quello che si opponeva alle terapie individuate dagli agronomi, dai biologi e dai botanici per abbattere gli olivi contagiosi e fermare la diffusione del batterio.
Il progetto è stato tormentato dal punto di vista costruttivo, con la posa delle condotte in terreni impervi e con le gastriti della politica internazionale, ma in Italia è conosciuto soprattutto per il movimento di protesta. Oggi le due principali associazioni di opposizione al progetto, il Comitato No Tap e il Movimento No Tap, hanno commentato su Facebook i loro dubbi:
«Mentre in Tribunale è in corso un processo per presunto disastro ambientale da parte di Tap, la multinazionale dichiara terminati tutti i lavori del gasdotto. Una domanda ci sorge spontanea: hanno finito davvero, oppure hanno finito sulla carta per avere i soldi a opera completa? A voi la risposta con le foto di ieri dei due cantieri più importanti del Tap al Capitano e San Basilio».
Perplesso anche un giornale web salentino, Leccecronaca , il quale sospetta che la notizia dell’avvio del metanodotto sia falsa: «Nonostante tutto ciò, in mattinata Tap ha avviato una forte attività di propaganda, con due comunicati mandati ai mass media, foto, video e quant'altro».
Le proteste avevano attirato la simpatia dei politici assetati di voti e di consenso.
Nell'aprile 2017 Michele Emiliano, al primo mandato come presidente della Puglia, disse: «Crediamo fermamente che sia ingiusto che la Tap approdi in una delle spiagge più belle d'Europa e che si debbano costruire chilometri di gasdotto sotto il maggiore giardino di ulivi d'Italia». E un anno dopo, nel luglio 2018 l'allora ministra per il Mezzogiorno Barbara Lezzi aggiunse alla tv: «Io adesso voglio sfidare chiunque a stendere un asciugamano sopra un gasdotto». Quel gasdotto dalla primavera scorsa passa invisibile sotto la spiagga candida venata dalle ceneri nere del Vulture sulla quale tre mesi fa erano dischiusi asciugamani e ombrelloni.
Il Tap (sigla di Trans Adriatic Pipeline) è una condotta lunga circa 850 chilometri che dal confine fra la Grecia e la Turchia attraversa i Balcani e a Fier s’immerge nell'Adriatico per approdare a Melendugno in Puglia.
Il Tap costa circa 4,1 miliardi di euro di investimento in gran parte privato. Ha la capacità di trasportare in Italia e in Europa 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno ed è già tarato per poter raddoppiare a 20 miliardi di metri cubi se in futuro mercato lo chiedesse. In questo caso il raddoppio non chiederà una seconda condotta; più semplicemente, verranno aumentate e potenziate le centrali di compressione lungo il percorso, in modo da poter aumentare la pressione e la quantità di gas spinto nella tubatura.
Ma l'intero progetto è assai più impegnativo ed è formato anche dal primo tratto della tubazione, il Tanap (Trans Anatolian Pipeline). Comincia in Azerbaigian, nei giacimenti di Şah Deniz che la Socar, la compagnia di Stato, ha nel mar Caspio. L’intero “corridoio sud” dal Mar Caspio fino alla Puglia costa 45 miliardi di dollari, contando anche i lavori sui giacimenti in Azerbaigian.
Gli azionisti maggiori sono Bp, Snam e Socar con il 20% l'una. Quote minori alla belga Fluxys (19%), alla spagnola Enagas (16%) e alla Axpo (5%).
Sono già stati stipulati con Enel, Hera ed Edison alcuni contratti di fornitura di 25 anni. Il nuovo metanodotto passa poco lontano dalla colossale centrale Federico Secondo di Brindisi Cerano, per la quale l'amministratore delegato dell'Enel, Francesco Starace, ha annunciato che in pochi mesi abbandonerà l’uso del combustibile più inquinante, il carbone, e passerà al metano . Quando è attiva, la centrale divora carbone alla velocità di decine di tonnellate l’ora.
Su quale mercato arriva questo metano? Nei primi nove mesi dell’anno , l’Italia ha usato 49,7 miliardi di metri cubi, con un calo del -8,4% rispetto ai primi nove mesi del 2019. Una caduta indotta soprattutto della frenata epidemica.
Nell’intero 2019 l'Italia aveva bruciato 74 miliardi di metri cubi di metano (+2,3% rispetto al 2018).
Jacopo Giliberto
giornalista
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