di Manuela Stacca
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We Are Who We Are è la storia di una relazione speciale e sregolata. Quella di due adolescenti, Fraser e Caitlin/Harper, anime affini che si vedono e subito si riconoscono, unite nella loro diversità e queerness, all'interno di un racconto di formazione che mette in discussione ciò che è maschile e ciò che è femminile. La prima serie tv di Luca Guadagnino – showrunner, regista e co-sceneggiatore insieme a Paolo Giordano e Francesca Manieri – rappresenta un'importante novità per la rappresentazione LGBTQ+ nel panorama nostrano. Sin dai primi episodi, seguiamo Fraser (Jack Dylan Grazer) e Caitlin/Harper (Jordan Kristine Seamón) influenzarsi, pungolarsi mentre esplorano la propria identità e sessualità.
Un’immagine tratta da “Orange is the New Black”
Mentre parlano liberamente di identità transgender, corpi in rivoluzione e vivono le prime esperienze amorose in questa sorta di luogo non-luogo, un po' Italia un po' Stati Uniti: un microcosmo chiuso e allo stesso tempo aperto, popolato da civili e militari lesbiche, gay o forse bisessuali, impossibile dirlo. Non si era mai vista in tv una base dell'esercito così queer e ricca di personaggi dall'orientamento sessuale indefinito. Eppure, se si guarda alla serialità anglo-americana, We Are Who We Are (attualmente in onda su Sky Atlantic e Now Tv) è solo l'ultimo titolo che mette in scena il superamento del binarismo di genere e il concetto di fluidità, diventata ormai sempre più mainstream in tv e non solo.
Feel Good
Lo scorso marzo su Netflix è arrivata Feel Good: dramedy di e con Mae Martin su una stand-up comedian queer decisa a non etichettare la sua sessualità e forse neanche la sua identità come rivela lei stessa: «Credo di essere transgender o non-binaria, o come si dice ultimamente». Sul versante teen-drama, invece, nel 2019 Euphoria si è distinta per il ritratto tragico e crudo della Generazione Z, con una protagonista (forse lesbica) che si innamora di una ragazza trans. Mentre nel 2018 con Pose, Ryan Murphy ha infranto pregiudizi, stereotipi e tabù, creando una serie rivoluzionaria con il cast LGBTQ+ più grande di sempre per raccontare il mondo delle ballroom degli anni Ottanta (la star Billy Porter è tra le icone di moda genderfluid più influenti). E prima ancora Broad City, Orange Is the New Black, Transparent (ideata da Joey Soloway, showrunner non-binary), tutte serie di successo che hanno celebrato la diversity e la fluidità, andando oltre i ruoli di genere e le etichette. Proprio come avviene in We Are Who We Are.
«Solo perché mia madre è lesbica non significa che sono gay», dice Fraser nel terzo episodio, per nulla intenzionato a definire le proprie preferenze sessuali. Lo stesso vale per Caitlin/Harper, la cui identità di genere, nonostante la progressiva mascolinizzazione, non viene mai del tutto chiarita. Ed è proprio questo il punto: il rifiuto di ogni definizione di sé per reclamare il diritto di essere ciò che si vuole. Di vivere le relazioni, il sesso e l'amore liberamente, senza preconcetti – del resto, oggi sono soprattutto le nuove generazioni ad abbracciare di più una sessualità fluida e mutevole, supportando le battaglie transfemministe e della comunità LGBTQ+.
Da Euphoria
Certo, in We Are Who We Are non tutto funziona alla perfezione: la durata degli episodi è spesso eccessiva; alcuni personaggi, specie gli adulti, sono poco sviluppati mentre certe sequenze girano a vuoto. Come ad esempio nel quarto episodio: un inno al sesso disinvolto consumato in una notte sfrenata e di assoluta follia, nella quale la ricerca di libertà diventa puro caos nonsense. E la nudità esplicita dei corpi si fa eccessiva, voyeuristica.
Del resto, la serie non fa altro che provare a catturare e rappresentare le tante contraddizioni di una generazione che appare smarrita, allo sbando da un lato, ma incredibilmente consapevole, volitiva dall'altro. Tra rallenti, fermo-immagine e musiche iconiche riecheggia anche il ritmo e lo stile già visti in Chiamami col tuo nome – con tanto di riferimenti espliciti alla pellicola – di Guadagnino, che qui costruisce un ritratto bucolico, sensuale ma anche crudo. Alla fine, We Are Who We Are è una serie che vuole essere contemporanea, onesta, e ci riesce proprio quando scava più in profondità il legame incasinato di Fraser e Caitlin/Harper: sono loro il cuore pulsante di una storia di amicizia e di accettazione che normalizza la fluidità di genere e sessuale. E dice: “siamo quello che siamo”, vogliamo quello che vogliamo, tutto cambia, è multiforme, nulla è eterno, e va bene così.
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