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Coronavirus, autocertificazione «falsa»: ecco quando è reato e quando no

di Marisa Marraffino

Viaggio nella Roma semi-deserta nel primo giorno di zona rossa

Non ogni “bugia” resa al pubblico ufficiale in sede di controlli integra questo reato. La falsità, infatti, deve riguardare fatti già compiuti e non semplici intenzioni

16 marzo 2021
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4' di lettura

A oltre un anno dall'inizio della pandemia a finire sotto stress è anche l'interpretazione delle norme emergenziali. Tra Dpcm, decreti legge e norme costituzionali, non sempre è facile districarsi e comprenderne i limiti applicativi.
Diversi anche gli orientamenti dei giudici che finora si sono pronunciati sui primi casi arrivati in tribunale.

Le sanzioni amministrative

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Sono le più frequenti e possono essere irrogate per il mancato uso della mascherina, per la violazione del divieto di assembramento o di circolazione. In tutti questi casi le sanzioni vanno da 400 a 1.000 euro, con lo sconto del 30% se si paga entro 5 giorni. Per questo motivo la multa è di 280 euro.

I reati

Hanno sicuramente fatto più discutere i primi procedimenti penali aperti per le violazioni ritenute più gravi. In alcuni casi, infatti, può scattare d'ufficio una denuncia e le conseguenze sono diverse da quelle viste per le violazioni di natura amministrativa.

Il reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale

Sono stati notificati i primi decreti penali di condanna per chi ha dichiarato il falso nell'autocertificazione.Il reato contestati è quello previsto dall'art. 483 c.p. che però non si configura in tutti i casi in cui venga dichiarata una circostanza non vera. Questo è il motivo per cui in alcuni casi i giudici hanno assolto da questo reato, condannando invece in altri.

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Come è possibile questo diverso orientamento?

Non ogni “bugia” resa al pubblico ufficiale in sede di controlli integra questo reato. La falsità, infatti, deve riguardare fatti già compiuti e non semplici intenzioni.
Se chi viene fermato dichiara che sta andando a correre, ad esempio, ma viene denunciato perché sorpreso in tenuta incompatibile col jogging potrà far leva sul fatto che la giurisprudenza prevalente ritiene che le intenzioni non rientrano nel concetto di “falsa attestazione”.
Così come chi riferisce di andare da un fornitore per poi cambiare idea.Questa è la motivazione che ha portato il Gip del Tribunale di Milano, dottor Roberto Crepaldi, ad assolvere lo scorso 16 novembre un uomo di 41 anni che aveva dichiarato di recarsi da un cliente per poi cambiare progetto.

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Diverso è il caso di chi dichiari di essere stato al supermercato o in farmacia quando invece si trovava a casa di amici, contravvenendo ai divieti. Se non si potrà dimostrare di essersi recati davvero in un orario antecedente ai controlli nel luogo dichiarato il reato appare configurabile.
Questa volta non si dichiara un'intenzione ma un fatto che sarebbe già avvenuto. Diverso ancora il caso del Gip di Reggio Emilia che con la sentenza dello scorso 27 gennaio ha assolto l'imputato ritenendo che il dpcm che ha introdotto i divieti di spostamento fosse in contrasto con la Costituzione.
Disapplicandolo ha fatto venir meno il presupposto del reato, prosciogliendo una coppia che aveva dichiarato di essere appena tornata dall'ospedale per effettuare esami clinici in realtà mai eseguiti. L'articolo 13 della Costituzione prevede che le misure privative della libertà personale possano essere previste soltanto dalla legge o da un giudice.
Va detto che tutti i Dpcm e i decreti legge che si stanno susseguendo sono provvedimenti emergenziali che hanno come obiettivo quello di tutelare la salute pubblica, valore anche questo di rango costituzionale e che le misure volte a limitare gli spostamenti incidono sulla circolazione e non rappresentano un divieto assoluto della libertà personale: ci si può sempre spostare per lavoro, necessità o ragioni mediche. La Corte costituzionale non si è ancora pronunciata su eventuali eccezioni sollevate davanti ai giudici penali, la questione resta dunque aperta.

La violazione della quarantena

Uscire di casa se si è positivi al Covid o in violazione della quarantena obbligatoria fa scattare il reato speciale previsto dal decreto legge 19/202. Si rischia la reclusione da 3 a 18 mesi, oltre a un'ammenda da 500 a 5.000 euro, come previsto dall'articolo 7 del decreto legge 19/2020. La norma prevede però una specifica clausola di riserva che potrebbe far scattare reati più gravi, come l'epidemia colposa o dolosa.

L'epidemia colposa

Si tratta di un delitto di evento a forma vincolata.Si potrà astrattamente configurare quando sapendo di essere positivi al covid o avendo i sintomi si esce, avendo contatti con altre persone. È possibile configurare anche il reato di epidemia dolosa, quando si accetta il rischio di contagiare gli altri. Trattandosi di un reato a condotta vincolata non appare configurabile in forma omissiva. Il problema si pone, ad esempio, per i datori di lavoro che non forniscono protezioni adeguate ai lavoratori, ai quali allora questo reato difficilmente potrà essere contestato.Più verosimile allora l'eventuale configurazione del reato di lesioni personali colpose, previsto dall'art. 590 del codice penale, visto che il contagio viene equiparato, per consolidata giurisprudenza, alla “malattia”

Il dolo eventuale e la colpa cosciente

Si è parlato, anche per casi accaduti all'estero, della possibilità di contestare reati come quello di lesioni dolose o - in casi estremi – di omicidio doloso per chi sa di essere positivo al Covid-19, non usa la mascherina e intenzionalmente infetta altre persone.

È  capitato, ad esempio, di persone positive che, fermate per i controlli, abbiano tossito intenzionalmente nella direzione degli agenti. In questi casi si può arrivare a configurare il reato di lesioni a titolo di dolo eventuale perché il soggetto accetta il rischio che l'altra persona possa infettarsi. Se si tratta di soggetti fragili, l'infezione può portare alla morte. Molto difficile in concreto accertare il nesso di causalità tra la condotta e l'evento (lesioni o morte), ma astrattamente l'ipotesi potrebbe configurarsi.

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