di Donata Marrazzo
Mario Oliverio in una immagine del 6 agosto 2015 (foto Ansa)
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La seggiovia di Lorica, la realizzazione di Piazza Bilotti a Cosenza, l'aviosuperficie di Scalea. Tre opere pubbliche, costruite per gran parte con fondi europei, intorno alle quali si alimentava corruzione e abuso d'ufficio, almeno stando alle indagini condotte dalla Dda di Catanzaro nell'ambito dell'operazione Lande desolate. Coinvolti nell'inchiesta l'allora governatore della Calabria Mario Oliverio e con lui altre 18 persone fra esponenti eccellenti della politica locale, tecnici e imprenditori. Per le irregolarità riscontrate nella gestione dei rendiconti, l'Ue, per “ragioni prudenziali”, aveva addirittura bloccato 131 milioni di euro destinati alla Regione Calabria.
Il caso ha turbato per due anni l'opinione pubblica, incidendo pesantemente sulle azioni del governo regionale e non poco sulla campagna elettorale che ha preceduto le elezioni dello scorso anno. Per molti il risultato dell'inchiesta era scontato, ma il confino cui è stato obbligato l'ex governatore nel suo comune di residenza, San Giovanni in Fiore, e il clima ingenerato, avevano letteralmente cambiato gli equilibri – già di per sé precari - della Calabria. La sentenza definitiva è arriva oggi, con l'assoluzione di Mario Oliverio perché “il fatto non sussiste”. A emetterla il Gup di Catanzaro Giulio De Gregorio.
Già a novembre 2019, dai controlli a tappeto eseguiti in tutti i cantieri dei progetti infrastrutturali, l'Europa aveva accertato che non vi fosse alcuna frode, solo poche irregolarità amministrative del tutto fisiologiche. E qualche mese prima, la Corte di Cassazione, annullando la misura cautelare nei confronti di Oliverio, metteva in evidenza l'insussistenza della gravità indiziaria delle accuse, desunte ad alcune intercettazioni. «La chiave di lettura delle conversazioni – era scritto nelle motivazioni della Cassazione – lette ed interpretate senza considerare la intonazione canzonatoria e irriverente assunta dagli interlocutori… muove dal chiaro pregiudizio accusatorio».
Ma intanto, a ridosso della campagna elettorale (e prima del rinvio a giudizio), il Pd, che è sempre stato il partito di riferimento di Mario Oliverio, ha ingaggiato con il presidente uscente una lotta senza precedenti che lo ha costretto, alla fine, a lasciare campo libero a Pippo Callipo, candidato anomalo del Centro Sinistra, che non solo non è stato eletto, ma a giugno si è anche dimesso dal suo incarico di consigliere regionale.
«Quella di oggi è una sentenza netta, chiara. Mi hanno tenuto due anni sotto la gogna mediatica, hanno modificato la storia politica della regione, ma la giustizia finalmente è arrivata». L'ex presidente Mario Oliverio ha commentato con commozione l'assoluzione dalle accuse di corruzione e abuso d'ufficio. «Sono felice per la mia famiglia, per i miei cari, per i calabresi. Ricevono tutti un'ulteriore conferma della mia trasparenza, della mia lealtà, del mio agire sempre improntato alla legalità, alla correttezza amministrativa. Ho sempre combattuto in prima fila per il riscatto della mia terra e per la sua liberazione da tutte le mafie e dalle cricche affaristiche».
Nel mese di novembre, la procura di Catanzaro aveva chiesto per Mario Oliverio, difeso dagli avvocati Enzo Belvedere ed Armando Veneto, una condanna a quattro anni e otto mesi di carcere. Belvedere, con soddisfazione, si concede una riflessione di ampio respiro: «In un processo il primo giudice dovrebbe essere il pubblico ministero che non può mai accanirsi con ipotesi giuridicamente insostenibili, soprattutto quando le accuse sono sostenute da misure cautelari. Anzi c’è una norma precisa che impone al pubblico ministero di svolgere indagini a favore degli indagati. Così dovrebbe sempre essere per un sistema giuridico degno di questo nome».
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