di Alessandro Cravera *
(EPA)
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Ronald F. Inglehart, Direttore del World Values Survey, nel suo ultimo libro “Cultural Evolution: People's Motivations are Changing, and Reshaping the World” (Cambridge University Press, 2018) descrive come i valori della società cambino in base al grado di sicurezza percepita. Per larga parte della storia dell’umanità, la sopravvivenza non è stata affatto sicura. Scarsità di cibo, povertà estrema e assenza di cure rendevano la vita una corsa a ostacoli in cui solo pochi fortunati riuscivano a sopravvivere. In contesti come questo, emergono valori quali la chiusura agli altri, la xenofobia, la paura del diverso e l’obbedienza a leader forti.
Dal secondo dopoguerra il livello di benessere è cresciuto e con esso la sicurezza di sopravvivere. Hanno cominciato ad emergere valori nuovi come l’attenzione per l’ambiente, l’apertura agli altri, l’inclusione della diversità e la libertà di espressione. La democrazia stessa si è diffusa come mai prima di allora. Basandoci su queste considerazioni potremmo sentirci al sicuro. Il periodo buio della storia sembra essere superato e stiamo proseguendo sulla strada della pace, della sostenibilità e del benessere.
Purtroppo, non è esattamente così. Negli ultimi vent’anni stiamo assistendo in varie parti del mondo a un pericoloso abbassamento del grado di sicurezza percepita. Lo sviluppo della tecnologia e, in particolare, dell’intelligenza artificiale sta facendo scomparire mestieri e posti di lavoro. Le diseguaglianze economiche stanno crescendo e la cosiddetta middle class tende a ridursi quantitativamente e ad avere minore qualità di vita rispetto al passato. Anche il fenomeno migratorio di questi ultimi anni tende ad abbassare il livello di sicurezza percepita. Si diffonde l’idea che gli stranieri possano occupare posti di lavoro e snaturare l’identità sociale e culturale dei popoli.
A questo si aggiunge, durante quest'ultimo anno, l’effetto della pandemia da Covid-19 che ha necessariamente ridotto le relazioni sociali e generato un clima di diffusa diffidenza verso gli altri e di timore per il futuro. Gli effetti di questi cambiamenti sono ben visibili. I valori che si sono affermati a partire dalla seconda parte del Novecento (la spinta ecologista, il dialogo e l'apertura agli altri e l'inclusione della diversità) restano forti e presenti ma il loro trend di crescita si è ridotto.
Stanno riemergendo gli antichi valori connessi a un basso grado di sicurezza sulla sopravvivenza. Si diffondono e radicano le intolleranze religiose, si avvertono rigurgiti razzisti, vengono votati ed eletti leader politici populisti e illiberali in molte parti del mondo, la spinta ecologista, malgrado Greta Thunberg, si è ridotta e il clima sociale, anche grazie ai social network, è continuamente avvelenato da fake news, aggressività e violenza verbale nei confronti di chi ha opinioni e idee diverse.
Non si tratta di un vero e proprio ritorno ai periodi bui del passato. Le conquiste degli ultimi 50 anni sono ancora vive e forti, tuttavia non possiamo ignorare i segnali che stanno emergendo. L’insicurezza verso il futuro, come sottolinea Inglehart, porta con sé la chiusura e la lotta verso gli altri, e la ricerca di leader forti a cui affidarsi. In questo contesto il rischio è proprio quello di affidarsi a persone che soffiano sul fuoco alimentando queste paure.
Chi oggi offre soluzioni semplici a problemi complessi e promette di mettere al primo posto gli interessi di una parte (quella che gli interessa per diventare leader) a discapito di tutte le altre, rischia di essere più credibile di chi cerca di educare alla complessità, tiene conto delle ripercussioni globali delle proprie scelte ed è consapevole di muoversi in un contesto globale interconnesso e interdipendente. Questo può determinare una diffusione ancora più rapida dei valori connessi alla chiusura, alla xenofobia e alla paura dell’altro e generare un feedback di rinforzo che accresce ulteriormente la probabilità di affidarsi a leader di questo tipo.
Come evitare che questo accada? Penso si debba fare uno sforzo congiunto dal punto di vista educativo per far comprendere cosa significa oggi esercitare una leadership in un mondo complesso come quello attuale. All’interno delle organizzazioni siamo abituati a premiare, e quindi ad assegnare un ruolo di leadership, chi raggiunge gli obiettivi personali. Sui social la leadership è incarnata dagli influencer che misurano la loro forza in base al numero di followers. Nello stesso modo, in politica, si considerano leader i personaggi che sono in testa nei sondaggi di gradimento.
In sostanza, oggi il concetto di leader è abbinato al successo personale di chi si propone come tale. Il leader è chi emerge tra gli altri, si differenzia dalla massa, chi crea seguaci ed emuli. La leadership è quindi oggi considerata un fine, non un mezzo. È importante raggiungerla, non esercitarla per migliorare le condizioni del sistema che il leader dovrebbe guidare. Se non si interviene presto su questo aspetto rischieremo di vedere salire nei posti di comando di organizzazioni e governi persone che, per fini personali, esaspereranno la frattura sociale che sta emergendo e punteranno solo su fini personali di breve periodo che consentano loro di continuare a mantenere la loro leadership.
La mia proposta, quindi è semplice: smettiamo di considerare leader (o influencer che sia) chi crea seguaci e followers e iniziamo a considerare tale solo chi si adopera per creare le condizioni per un’evoluzione positiva del contesto in cui si muove, sia esso una famiglia, un'azienda o una nazione. Avremo leader meno visibili, ma più numerosi e utili a mantenere società e organizzazioni sulla via del progresso.
* Partner di Newton Spa
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