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L’impresa è in odore di mafia, ma il Tribunale non la chiude e salva l’occupazione

di Marco Ludovico

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(imagoeconomica)

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Scatta la misura del controllo giudiziario: l’attività aziendale non si interrompe ma i delegati del giudice faranno controlli continui. Così si tutela l’occupazione.

14 settembre 2020
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4' di lettura

Le ragioni della continuità d’impresa possono prevalere. A patto di rispettare tutte le garanzie dovute di legge. Eppure i tratti di sospetto mafioso sono molti, moltissimi. Cosa nostra e ’ndrangheta risaltano in un intreccio consolidato. Ma non ci sono reati: si valuta così la “pericolosità sociale” del contesto. Non è tema di indagine penale ma di misure di prevenzione. Alla fine il tribunale di Bologna ha accolto la proposta congiunta del questore, Giuseppe Ferrari, e del procuratore della Repubblica, Giuseppe Amato - la prima del genere in Italia - sulla Lg Costruzioni srl, azienda in attività da dieci anni. Niente sequestro nè amministrazione giudiziaria ma il “controllo giudiziario” per un anno, misura più soft. L’impresa non chiude. L’occupazione è tutelata.

Storie di Cosa nostra in Emilia

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La vicenda va raccontata fin dall’inizio: rivela come la dimensione mafiosa può spuntare all’improvviso, più o meno camuffata o ripulita. Tutto nasce dalla richiesta di rinnovo dell’iscrizione nelle cosiddette white list della prefettura di Reggio Emilia avanzata dalla Lg costruzioni. L’istruttoria dell’ufficio territoriale del Viminale accerta come la società sia riconducibile a una famiglia mafiosa più che famosa: i cugini Salvo, Ignazio e Nino, capicosca di Salemi in provincia di Trapani e schierati con Totò Riina. Ignazio, si ricorderà, venne ucciso in un agguato da Leoluca Bagarella, Antonino Gioè e Giovanni Brusca nel 1992. La vedova Giuseppa Puma e i figli Luigi e Maria si trasferiscono tra il 2000 e il 2011 ad Albinea (RE). La prefettura emiliana scopre come Lg Costruzioni sia per l’83% di Giuseppa e per il 17% di Luigi. Maria non ha quote ma è vicepresidente della società.

Il focus sui soci della Lg costruzioni

In dodici pagine del provvedimento emesso dal Tribunale c’è il racconto di anni e anni di compravendite e movimentazioni finanziarie, societarie e immobiliari di Giuseppa, Luigi e Maria. Quando la prefettura si accorge del quadro emerso passa il dossier per le verifiche più approfondite alla divisione anticrimine della questura di Reggio Emilia. Emerge tra l’altro come Lg costruzioni faccia ristrutturazioni di alta qualità immobiliare come si vede anche dal loro sito. Dai sopralluoghi risulta come i dipendenti diretti siano pochi ma le ditte in subappalto numerose. Con una caratteristica ripetuta e non proprio trascurabile: la contiguità di Lg costruzioni, così come accertato dalla Guardia di Finanza - ma ci sono anche molti riferimenti svolti dall’Arma dei Carabinieri - «nell’ambiente ’ndranghetista». Scontato il rigetto della prefettura alla richiesta di rinnovo di iscrizione nelle white list. L’11 giugno scorso la società lo ha impugnato davanti al Tar.

Il rischio di “impresa illegale”

La questura così affronta il tema della pericolosità sociale dell’impresa. Si sviluppa così il meccanismo della “proposta congiunta” già attivato più volte negli ultimi tempi d’intesa con il supporto investigativo dello Sca, il servizio centrale anticrimine diretto da Giuseppe Linares. Lo Sca fa parte della Dac, la direzione centrale anticrimine al comando di Francesco Messina presso il dipartimento di Pubblica sicurezza guidato dal prefetto Franco Gabrielli. La proposta congiunta condivide gli approfondimenti di questura e Sca con le valutazioni del procuratore Giuseppe Amato. I legami con Cosa nostra e con la cosca ’ndranghetista Grande Aracri, già sottoposta al processo Aemilia, sono evidenti. Alla fine la Lg costruzioni «è un’impresa in bonis” sottolinea il Tribunale sulle risultanze di prefettura, questura e procura. Resta tuttavia un imperativo categorico: «Arginare le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche». Associato, però, al fine di «salvaguardare la continuità dell’attività produttiva».

La difesa della società sotto accusa

La Lg costruzioni nel contraddittorio davanti al Tribunale sfodera carte e argomenti di rilievo. Presenta il 28 aprile scorso un “piano d’azione per l’introduzione di misure di prevenzione contro le infiltrazioni mafiose nell’organizzazione aziendale” elaborato da un gruppo di lavoro composto da ricercatori della Crime & Tech srl, spin off dell’università Cattolica di Milano, e del Dems, dipartimento di scienze politiche e relazioni internazionali dell’università di Palermo. Alla fine il Tribunale esclude il ricorso alle misure cosiddette ablatorie, sequestro e poi confisca. E sceglie, tra quelle meno invasive - amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario - la seconda. Quella più soft.

Come funziona il “controllo giudiziario”

Il Tribunale di Bologna rileva come gli accertamenti della divisione anticrimine della questura «non hanno fornito alcun elemento concreto e specifico» per «poter desumere il pericolo di infiltrazione mafiosa in seno alla società». Resta tuttavia assodato, ricorda l’ufficio giudiziario, come Lg costruzioni abbia «tenuto relazioni riconducibili con soggetti pregiudicati» in quanto «membri o fiancheggiatori del clan Grande Aracri di Cutro (Kr)». Stanno dentro a molte imprese di subappalto e fornitura.Con la misura del controllo giudiziario si deve, come disse la commissione Fiandaca, «promuovere il disinquinamento mafioso delle attività economiche salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale dell’impresa». Viene nominato un giudice delegato e un amministratore giudiziario titolato a svolgere «accessi ripetuti presso la società e con il management almeno due volte al mese». L’amministratore dovrà «partecipare a tutte le assemblee» ma anche «intrattenere rapporti stabili» con i dirigenti, «prendere visione della documentazione contabile» e controllare «gli atti relativi alle transazioni finanziarie».

Il salvataggio dell’occupazione e dell’impresa

La forma “controllata” dal tribunale di prosecuzione dell’attività di un’impresa sospettata di rischio di infiltrazioni mafiosi è una strada non priva di conseguenze sociali: i posti di lavoro non sono messi a rischio come sarebbe accaduto con un provvedimento più drastico come il sequestro. Il tema è noto da anni al Viminale. Lo Stato non riesce ad assicurare l’occupazione a chi ha lavorato in un’azienda infiltrata dalla mafia senza essere mafioso, impresa poi ferma sul mercato perchè la mano pubblica non riesce a garantire continuità aziendale.I casi sono numerosi e ripetuti.Il prefetto Bruno Frattasi, alla guida dell’Ansbc (agenzia nazionale beni confiscati e sequestrati) prima di diventare ad agosto capo di gabinetto al ministero guidato da Luciana Lamorgese, ha attivato numerosi processi - anche d’intesa con il sistema delle Camere di commercio - per irrobustire un’azione di Stato rivelatasi spesso fragile e incerta nei casi delle aziende mafiose sequestrate e confiscate.L’indirizzo del Tribunale di Reggio Emilia per la Lg costruzioni su input congiunto di questura e procura può sollecitare nuovi scenari.

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