di Giuditta Giardini
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Nel 2021, il RAAM, acronimo di Ricerca Archivio AMACI Musei, ossia l'archivio online finalizzato a far conoscere la consistenza e la qualità del patrimonio pubblico di arte contemporanea dal 1966 a oggi, conta 20 musei aderenti, 3.573 artisti e 10.283 opere rappresentate. L'archivio è nato per volontà dell'allora Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane – dal 2019 Direzione Generale Creatività Contemporanea – del Ministero della Cultura (MIC) e di AMACI – Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani. Il progetto risponde alle necessità di accessibilità, diffusione e fruizione del patrimonio pubblico dell'arte contemporanea attraverso il digitale. Per ottenere la licenza di utilizzo di un'immagine dell’avente diritto, cioè il museo o l’ente di proprietà, sarà utile fare una richiesta attraverso il sito online RAAM, che farà da tramite per entrare in collegamento con i musei. La piattaforma RAAM quindi semplifica la filiera e riduce i tempi delle richieste di licenze per l'utilizzo delle immagini.
La rivoluzione digitale, in atto, ha il pregio di avere semplificato, come in questo caso, la burocrazia, ma dall'altro lato richiama sempre più l'attenzione sul pagamento dei diritti agli artisti interessati (diritto d'autore) o allo Stato (riuso delle immagini). Infatti, in Italia, la protezione dei diritti d'autore patrimoniali connessi all'opera d'arte è garantita in primis dalla legge sul diritto d'autore che è valida per la vita dell'artista e per i 70 anni successivi alla sua morte (Art. 25 L. 22 aprile 1941, n. 633 “L.D.A.”) e, per le opere di proprietà dello Stato aventi interesse artistico, la tutela è estesa dagli articoli 107 e 108 del Codice dei Beni Culturali per cui l'autorizzazione viene rilasciata “sulla base di valutazioni che hanno ad oggetto la finalità della riproduzione, anche sotto il profilo della compatibilità con la dignità storico-artistica dei beni da riprodurre, il numero delle copie da realizzare, la verifica di tollerabilità della metodica sulla copia da riprodurre” (E. Sbarbaro).
«Ratto delle Sabine», 2020, di Urs Fischer, Brant Foundation, New York, come la foto di apertura
Pur avendo, la legge sul diritto d'autore e il Codice dei Beni culturali due finalità differenti – la prima lo scopo d’incentivare la creatività individuale proteggendone il risultato, mentre il secondo, tra le altre cose, è posto a protezione del patrimonio nazionale identitario dello Stato per evitare il suo depauperamento o svilimento, – esse sembrano allinearsi temporalmente proteggendo l'opera, in alcuni casi, dal momento della creazione per tutto l'arco vitale.
La creazione di RAAM ha portato alla ribalta alcune questioni legate al diritto d'autore a cui si dovranno dare delle risposte giuridiche, ha spiegato il presidente di AMACI, Lorenzo Giusti. In primis, la vexata quaestio sull'utilizzo delle immagini soggette a diritto d'autore in editoria e anche il libero riuso di quelle di proprietà dello Stato. A questo proposito, Umberto Allemandi, fondatore e presidente della società editrice Allemandi, nel corso della giornata di studi del 1* marzo scorso, ha preso una posizione forte, a favore della liberalizzazione delle immagini anche a scopo di lucro. Allemandi ha definito lo stato attuale della normativa “imbarazzante” in quanto non prende in considerazione le attività editoriali che necessariamente presuppongono un fine di lucro, per fare un esempio, solo professionisti esperti del settore possono scrivere un catalogo di un'artista o firmare un articolo su una rivista di settore e non dilettanti, ma il professionista deve essere retribuito e pertanto la pubblicazione ha un costo e un fine di lucro. Per Allemandi, la condizione dell'assenza di scopo di lucro preposta al rilascio gratuito della licenza è “da ri-attualizzare”.
Rientrante tra i diritti patrimoniali d'autore, non è regolamentato dal legislatore italiano. A farlo notare è la direttrice della sezione Olaf-Siae, Valeria Foresi. Non è chiaro chi detenga il diritto di esporre l'opera in un museo o in una collezione privata anche aperta al pubblico: non si capisce se questo diritto venga trasferito con il passaggio della proprietà dell'opera o se, in mancanza di una pattuizione per iscritto, come per gli altri diritti d'autore patrimoniali, questo resti in capo all'artista. Per gli altri diritti patrimoniali d'autore previsti all'art. 12 L.D.A., ossia i diritti aventi carattere economico, che nascono spontaneamente, assieme a quelli morali, in capo all'artista al momento della creazione dell'opera, è necessario che se ne disponga per iscritto e la forma scritta è qui necessaria ad probationem, ossia ai fini della prova dell'avvenuta trasmissione non della validità dell'atto (Art. 110 L.D.A.). Una parte della più recente dottrina ritiene che ciò costituisca una forma atipica di diritto patrimoniale d'autore (Motti), mentre giurisprudenza consolidata e parte della dottrina sostengono che il diritto di esposizione si trasferisca insieme al diritto di proprietà sull'opera (Trib. Verona, 13 ottobre 1989). All'artista resta la possibilità di opporsi all'esposizione che risulti in violazione dei suoi diritti morali come il diritto di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione, modificazione e ogni atto a danno dell'opera stessa.
Per fare qualche esempio pratico, tratto dalla giurisprudenza di merito, l'artista potrà chiedere che la sua opera non sia esposta con altre non rappresentative del suo lavoro presentate, invece, come significative o quando l'autore sia accostato ad altri artisti di diversa corrente artistica. Sul diritto di riproduzione dell'opera, diversamente da quello di esposizione, c'è maggiore uniformità di vedute tra giurisprudenza di merito e di legittimità, normative straniere ed esperti di diritto d'autore. Il diritto di riproduzione dell'opera, per la trasmissione, richiede la forma scritta ai fini della prova. L'artista, pur avendo trasferito questo diritto, può comunque opporsi a riproduzioni che ledano i suoi diritti morali d'autore.
È un'altra annosa questione aperta sul diritto d'autore. Mentre la Siae lotta contro le “licenze-fai-da-te” cioè quelle rilasciate direttamente dagli artisti agli utenti senza passare dal via e che sempre secondo la Siae sarebbero in danno delle prerogative autoriali che ne escono avvilite, le fondazioni, come la Fondazione Fausto Melotti, devono vigilare affinché le riproduzioni delle opere dell'artista su qualsiasi tipo di supporto (dalle copertine di Italo Calvino agli abiti!) vengano autorizzate. Edoardo Gnemmi, direttore della Fondazione Melotti, parla del grande (e costoso) “ops” dello stilista austriaco, Arthur Arbesse (Central Saint Martin), che per la sua collezione primavera/estate si è dichiaratamente ispirato alle opere di Melotti, ma senza richiedere licenza alla Fondazione.
Tra le recenti problematiche relative al diritto d'autore, spunta quella sui certificati di autenticità. ArtEconomy24 si era già occupata di questo argomento con una intervista a Amy Adler, insegnante di Art Law presso la New York University School of Law. Per fa capire quanto i certificati siano importanti oggi, l'avvocato svizzero Mark Reutter, intervenuto alla giornata studi sul diritto d'autore, prende come esempio le opere di Long, mentre la Adler usa Dan Flavin. Nel dicembre 1992, la galleria americana Pace Gallery, che rappresentava Flavin prima del passaggio a Zwirner, ha venduto la “scultura” Untitled, consegnata dallo stesso Flavin sei mesi prima, a Karen Susman per 25.000$ con tanto di certificato di autenticità rilasciato dall'artista con cui riconosceva la paternità dell'opera. Alla morte della Susman, il marito ha deciso di rivendere l'opera, ma non riuscendo a trovare il certificato di autenticità ha chiesto alla Dan Flavin Estate il rilascio di una copia. La Fondazione si è però opposta al rilascio di un nuovo certificato sostenendo che il documento attestante la paternità dell'opera fosse esso stesso l'opera d'arte. Quel “no” ha fatto immediatamente scattare la causa civile contro la Dan Flavin Estate, ma la controversia si è risolta di fatto con un accordo stragiudiziale tra le parti in favore della Fondazione. Flavin non è il solo per cui il certificato vale l'opera, anche per Cattelan, Sol Lewitt, Gonzalez-Torres, Urs Fischer e Sandback. L'opera sprovvista di certificato non ha mercato, il documento che comprova l'autenticità del pezzo è sempre di più un ‘market device'.
Un altro caso-studio interessante è Urs Fishcer. Nel 2020, la Brant Foundation di New York ha sottoscritto un contratto contenente il diritto a tre copie dell'opera in cera «The Rape of the Sabine Women» (ispirata al ratto delle Sabine del Giambologna, Loggia dei Lanzi, Firenze) di Urs Fischer, rappresentato da Gagosian. L'opera (nella forma) era stata già esposta a La Biennale di Venezia. La performance collegata alla statua in cera si realizza con lo scioglimento completo dell'opera e quindi la sua distruzione. Un simile contratto era stato firmato dal Whitney Museum per due copie di Julian Scnhabel in cera sempre di Fischer.
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