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Nel 2020 il lusso perderà 110 miliardi, si «salva» la cosmetica

di Giulia Crivelli

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McKinsey, Pitti Immagine e Camera della moda hanno sintetizzato le opinioni di ceo e i dati post lockdown, ipotizzando la «nuova normalità»

4 giugno 2020
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3' di lettura

La fine del lockdown e l’inizio delle varie “fasi 2” (ogni Paese ha le sue definizioni e tabelle di marcia) ci riporterà, gradualmente, alla normalità, alla realtà pre-pandemia, si sente ripetere. Lo studio condotto da McKinsey in collaborazione con Pitti Immagine e Camera della moda per disegnare lo scenario post Covid usa di proposito un termine diverso: “new normal”. Perchè quello che è successo in Cina a partire da gennaio e nel resto del mondo dalla fine di febbraio non è un semplice intervallo, un’ibernazione delle attività di persone e aziende. Crollo del Pil 2020 a parte (per l’Italia si stima superiore al 10%), un periodo di appena tre mesi ha scosso nel profondo le abitudini di acquisto e di consumo e ridisegnato, almeno in parte, i rapporti tra clienti del lusso e marchi (nella foto in alto, il negozio del marchio Giada in via Monte Napoleone, a Milano).

Oltre i numeri
Lo studio orchestrato da Antonio Achille di McKinsey, Carlo Capasa, presidente della Camera della moda e Raffaello Napoleone parte dai numeri, certo, ma il suo valore aggiunto sono le oltre cento opinioni raccolte tra ceo di aziende del lusso e imprese dell’intera filiera, incrociate con sondaggi tra i consumatori e dati di vendita dei department store e del retail in generale. Le stime di McKinsey stimavano, prima della pandemia, che nel 2019 il mercato del lusso globale avesse raggiunto i 390 miliardi di euro (280 per i beni di lusso personale, 110 per la parte esperienziale, come i viaggi). Per il 2020 si prevedono perdite tra il 10 e il 45% del fatturato, senza contare che all’orizzonte si profilano ulteriori incognite per Hong Kong e Macau e per gli Stati Uniti.

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Impatto differenziato sui settori
«Osservando i dati delle vendite nei mesi del lockdown, fatte esclusivamente online, e unendole con i risultati delle prime settimane di riaperture e con le impressioni dei manager stimiamo che la perdite maggiore l’avranno orologi e gioielli – sottolinea Achille –. Sarà compresa tra il 25 e il 45%. Subito dopo viene l’abbigliamento (20-40% in meno) e gli accessori (15-35%). A resistere saranno i cosmetici e l’enogastronomia, che comunque perderanno tra il 10 e il 30% delle vendite». A trainare la ripresa dei consumi saranno i cinesi, sia perché il lockdown è finito prima, sia perché hanno una consumer confidence diversa da quella della maggior parte degli altri Paesi, feriti più nel profondo dalla pandemia e comunque meno affamati di lusso perché avvezzi a comprarlo da molti più anni.

Difficile ipotizzare un unico scenario
La situazione però è in costante evoluzione: dipende dal comportamento del virus – che ovviamente sfugge a ogni controllo, come testimoniano le liti tra medici e ricercatori – e dalle politiche dei vari Paesi. «Nello scenario migliore, nel 2020 il mercato del lusso calerà di 100-11o miliardi e solo nel 2021 si tornerà ai livelli del 2019 – aggiunge Achille –. Ma in quello peggiore il ritorno alla normalità di appena un anno fa potrebbe arrivare nel 2023. Per questo è importante parlare di new normal».

Fattori di resilienza
Secondo Achille, Capasa e Napoleone a resistere meglio saranno i marchi e le aziende con più tradizione e storia, che vantano i percorsi più coerenti e che già prima della pandemia avevano intrapreso percorsi di sostenibilità ambientale e sociale. «Nessuno ha soluzioni pronte – aggiungono Capasa e Napoleone –. Ma sicuramente andranno rivisti i calendari, i tempi di produzione e distribuzione, il modo stesso in cui si valuta la sostenibilità di un prodotto e di un settore. Usiamo il futuro ma in realtà tutto questo sta già avvenendo, perché il lockdown è stato in un certo senso solo apparente: tutti hanno iniziato a riflettere sul senso profondo di ciò che facciamo e compriamo. Questi mesi sono stati preziosi per riflettere e siccome a problemi complessi servono soluzioni articolate, auspichiamo che prosegua il dialogo tra attori del sistema moda e, soprattutto in Italia, con il Governo».

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