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I passi da fare per evitare errori

di Francesco Profumo

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Usare bene le risorse del Recovery Fund Ue per avviare finalmente una robusta crescita economica. Perché il risultato sia positivo, è necessario procedere con metodo e ordine

22 settembre 2020
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4' di lettura

L’Italia è davanti a una svolta fondamentale e questa volta non può sbagliare: usare bene le risorse del Recovery Fund Ue per avviare finalmente una robusta crescita economica, nel segno dell'ambiente, dell'innovazione e di migliori equilibri sociali o affondare nella palude dei debiti, della bassissima crescita e dell'incertezza per le nuove generazioni.

La svolta sta nel nuovo programma della Commissione, significativo, anche dal punto di vista comunicativo, fin dal titolo, Next Generation EU. Le risorse sono ingenti, 750 miliardi di euro, non derivati dalla contribuzione degli Stati membri, ma a mercato. L'Europa si trova dunque di fronte a un'opportunità potenziale unica. Ma l'effettiva efficacia è ora nelle mani degli Stati membri, per come sapranno investire queste risorse.

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Un ruolo importante lo giocherà l'Italia, uno tra i maggiori beneficiari, che ha una possibilità senza precedenti, un potenziale di 209 miliardi di euro a disposizione, di 81 a fondo perduto e 128 a prestito. Il successo o il fallimento di Next Generation EU e quindi lo sviluppo o il disastro per il nostro Paese, dipenderanno dalle scelte che governo e parlamento faranno nelle prossime settimane.

Il tempo stringe e non possiamo perderlo nel post elezioni amministrative e referendum con le stucchevoli dispute per capire chi ha vinto e chi ha perso.

Perché il risultato sia positivo, è necessario procedere con metodo e ordine, top-down, avendo ascoltato tutti gli stakeholders e rispettando i tempi scanditi dall'Europa e facendo bene i tre compiti, che sono stati individuati da Marco Buti e da Marcello Messori in “Questa volta l'Italia non può sbagliare”.

Il primo compito è mettere in luce le cause dei nostri ripetuti cicli di stagnazione e recessione, fin dagli anni Novanta.

Il secondo, è definire le strategie per le riforme ormai necessarie da troppo tempo e lavorare a un processo di convergenza con gli altri Paesi Ue, definendo le priorità e una gerarchia nei progetti, che dovranno essere vagliati e accettati dalle istituzioni europee e speriamo quindi finanziati nell'ambito delle linee di priorità della Commissione (i “progetti faro”: Green Deal, innovazione nel digitale e nelle telecomunicazioni, formazione, resilienza nel sociale). I progetti dovranno essere scelti in base alla qualità e all'elevato impatto sulla società.

Il terzo compito è mobilitare il “sistema Paese” con le sue migliori risorse, per la messa a terra dei progetti nei tempi e nei modi richiesti dall'Europa e con un monitoraggio dei risultati, trasparente ed efficace.

Per fare bene questi tre compiti si richiede al Paese uno sforzo eccezionale, con un veloce cambio culturale, inserendo nuove competenze organizzative, istituzionali, di project management e finanziarie nelle istituzioni pubbliche e nelle imprese e individuando nuove forme di collaborazione pubblico-privato. I tempi e i modi della ricostruzione del ponte di Genova hanno sorpreso, positivamente, tutti e questo potrebbe essere il modello da cui partire.

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Nel prossimo ottobre, l'Italia dovrà sottoporre alla validazione della Commissione Europea e all'approvazione del Consiglio il suo “Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza” (PNRR) per accedere ai fondi.

Dal documento varato dalla stessa Commissione il 17 settembre sappiamo che le prossime tappe saranno guidate da una Task Force “per la ripresa e la resilienza”, in stretto raccordo con la Direzione Affari economici e finanziari di Bruxelles: l'obiettivo è arrivare ad un piano Ue coordinato, che non sia affatto la semplice somma dei piani dei 27 paesi. Una nuova politica economica e sociale Ue, appunto.

Le risorse che l'Italia può ottenere sono adeguate per svolgere i tre compiti evidenziati e per attuare i progetti di riforma, con una strategia di medio termine.

Gli Stati membri che non sapranno inserirsi in questo processo si avvieranno verso un percorso di divergenza, che li condurrà all'emarginazione e al declino. L'Italia deve assolutamente evitare di essere tra questi.

Le raccomandazioni specifiche che la Commissione ha rivolto all'Italia già nel 2019 (pre-Covid) indicavano i grandi temi (i cluster) su cui andrà focalizzato il PNRR. Servono dunque riforme e iniziative per il mercato del lavoro, l'istruzione, la ricerca, le pubbliche amministrazioni, le nuove politiche industriali e sociali, indirizzando gli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali e nelle riorganizzazioni dei processi produttivi per rilanciare la produttività e realizzare la transizione digitale e ambientale dell'economia.

Ce la potremo fare? Dovremo impegnarci molto e gli ostacoli saranno molteplici, ne evidenziamo tre. Le scelte porteranno benefici nel medio-lungo periodo, bisognerà evitare che prevalgano spinte verso obiettivi di brevissimo periodo.

Il Green Deal e l'innovazione digitale imporranno una dimensione orizzontale che dovrà pervadere le singole riforme e i diversi investimenti pubblici e privati. Infine, i cluster necessari per un PNRR adeguato dovranno tradursi, entro aprile 2020, in progetti specifici e operativi. Le inefficienze burocratico-istituzionali, che condizionano le attività dei nostri ministeri e le norme che allungano i tempi e rendono incerti i costi di realizzazione degli investimenti pubblici sono ostacoli critici che dovremo superare.

L'Italia potrà sfruttare questa opportunità solo con uno sforzo eccezionale di programmazione ed esecuzione, tutti dovremo contribuire affinché questo avvenga, il nostro Paese e le nuove generazioni se lo meritano.

Presidente dell’Acri

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