di Carmine Fotina e Domenico Palmiotti
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Ancora dieci giorni per il nuovo piano industriale. ArcelorMittal guadagna tempo dopo il vertice, in videocollegamento, con i ministri Roberto Gualtieri (Economia), Stefano Patuanelli (Sviluppo) e Nunzia Catalfo (Lavoro), i commissari straordinari e i sindacati.
Dopo le ipotesi di un disimpegno in tempi brevi, l’amministratore delegato italiano Lucia Morselli ha fatto calare la tensione: «Vogliamo onorare gli impegni presi fino in fondo anche con le difficoltà causate da Covid». Avanti con il pre-accordo del 4 marzo è stato anche il messaggio di Gualtieri e Patuanelli. Ma basta approfondire off the record gli umori e le riflessioni delle parti in campo per capire che il rischio di una rottura da qui a fine novembre, termine per la firma del contratto di investimento che prevede la compartecipazione dello Stato, non si possa dire scongiurato.
In questi giorni potrebbero fare il punto della situazione, con un collegamento telefonico, direttamente il premier Giuseppe Conte e il patron della multinazionale, Lakshmi Mittal.
Negli ultimi tempi le schermaglie sono state evidenti. L’azienda ha sospeso il pagamento dell’ultima rata di affitto del canone degli impianti. Gli avvocati dei commissari straordinari hanno scritto ai legali di Mittal sottolineando il mancato rispetto dell’11 maggio come termine per la presentazione del piano industriale. Ora si concorda una proroga, ma il governo pretende un piano rassicurante mentre aleggiano sempre i 5mila esuberi che erano stati messi sul tavolo nel momento di massimo scontro prima del 4 marzo.
Chirurgiche, a questo scopo, le parole pronunciate da Gualtieri per evocare la piena occupazione: «Lo Stato è disponibile a intervenire direttamente per avere un’Ilva forte, che produca tanto, che sia leader mondiale, che abbia 10.700 occupati, che faccia investimenti significativi con l’intervento dello Stato diretto e indiretto».
Ed è solo a fronte di impegni puntuali che l’esecutivo potrebbe riprendere in considerazione la richiesta di una garanzia statale su un maxi prestito (si parla di 400 milioni), che è stata bocciata nella veste di una norma ad hoc, ma che l’azienda potrebbe riproporre in virtù del meccanismo Sace previsto dal Dl liquidità.
Nel frattempo il governo sta mettendo a punto i termini dell’ingresso statale - Invitalia la prima opzione - nella holding AmInvestco Italy con una quota del 30-40 per cento. Ma se il progetto Mittal dovesse naufragare ci sarebbe già il piano B, sostenuto soprattutto sulla sponda Mise del negoziato: cercare una mediazione per innalzare la penale di uscita da 500 a 700-800 milioni di euro e procedere successivamente al controllo statale del polo siderurgico.
Tutto il comparto italiano dell’acciaio rischia perdite vertiginose. Nel Dl liquidità con l’obiettivo di salvaguardare i livelli occupazionali, è stato inserito un emendamento per estendere il raggio d’azione del «golden power» alla siderurgia per tutto il 2020 e oggi il ministro Patuanelli svolgerà alla Camera un’informativa urgente sul settore.
Anche per i sindacati il caso Ilva rischia di essere l’inizio di una deflagrazione generale. Le reazioni all’incontro di ieri oscillano tra massima cautela e pessimismo, con prevalenza di quest’ultimo, mentre l’Usb chiede «che lo stabilimento ritorni definitivamente sotto il controllo pubblico».
Guardinga la Fim Cisl con Marco Bentivogli: «Credo che sia utile attendere i tempi che l’Ad chiedeva per stilare il piano industriale» ma servono subito «dei segnali di maggiore certezza e di minore disimpegno». «Se non ci sono, da parte della direzione aziendale, segnali di coerenza della volontà di ripartire, è ovvio che tutto ciò che si scrive anche tra dieci giorni, rischia di non essere credibile» oltreché di difficile attuazione rispetto all’accordo del 2018, quello dei 10.700 occupati, che per la Fim Cisl resta un riferimento.
Temendo il peggio, ma soprattutto nuovi esuberi, Rocco Palombella della Uilm chiede invece che «per attenuare il disastro occupazionale, economico e sociale», il Governo metta mano «a una legge speciale per i lavoratori dell’ex Ilva. Prevedere pensionamenti o altri strumenti legislativi - sollecita la Uilm - per ricollocamenti occupazionali garantiti dallo Stato». Palombella richiama i numeri: 5mila lavoratori diretti, 1.700 dell’amministrazione straordinaria Ilva e 4mila dell'indotto «attualmente a casa senza prospettive».
«Tempo largamente scaduto» ammonisce Francesca Re David della Fiom Cgil. «Si devono usare questi dieci giorni - rileva - per riportare ad una verificabile normalità le relazioni sindacali con il gruppo e i singoli siti» ma anche «garantire il riavvio delle produzioni possibili, delle manutenzioni indispensabili, del risanamento ambientale e il rientro dei lavoratori in tutti gli stabilimenti». Nei quali ieri si è scioperato per quattro ore divenute otto a Taranto.
Carmine Fotina
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