Economia
Pubblicità

Economia

L’Asia salva il Made in Italy

di Chiara Bussi

Immagine non disponibile
Un drone di ultima generazione esposto all’Esposizione Mondiale di Pechino nel 2019

Un drone di ultima generazione esposto all’Esposizione Mondiale di Pechino nel 2019

Dopo un 2019 in corsa con esportazioni a quota 585 miliardi il Covid ha imposto una frenata. Per cogliere le opportunità gioco di squadra a misura di filiera e digitale

25 novembre 2020
Pubblicità

3' di lettura

A pensarci adesso sembra un periodo lontano anni luce. Eppure appena tredici mesi fa il made in Italy sui mercati internazionali appariva come una macchina in corsa. A fine 2019 il tesoretto delle esportazioni aveva raggiunto quota 585 miliardi di euro, pari a più di un terzo del Pil del nostro Paese, con un’accelerazione del 2,3% per i beni e del 4,1% per i servizi oltreconfine. Un buon risultato, in una fase turbolenta sui mercati mondiali, in un’Europa nel bel mezzo della disputa commerciale tra Usa e Cina, pressata dai dazi americani e alle prese con i negoziati incerti sulla Brexit.

A dare maggiore soddisfazione, come mostra il Rapporto Ice, sono stati Giappone, Svizzera e Usa. Nel Paese del Sol Levante le esportazioni italiane sono cresciute del 19,7%, sulla scia dell’accordo di libero scambio raggiunto tra Tokyo e la Ue a febbraio dell’anno scorso. La vicina Svizzera si è imposta sempre più come hub internazionale, con un aumento dell’export del Made in Italy 16,6% e l’espansione verso gli Usa ha segnato un passo avanti del 7,5% nonostante i dazi imposti dall’amministrazione Trump.

Pubblicità

Protagonista indiscusso è stato il settore farmaceutico: con un balzo delle vendite oltreconfine del 25,6% ha guadagnato il sesto posto nella classifica dell’export italiano. Ma hanno fatto bene anche i comparti delle bevande (+6,8%), il sistema moda (+6,2%), l’alimentare (+6,6%) e la metallurgia (+5,3 per cento). E a fine 2019 la bilancia commerciale ha mostrato un saldo tra esportazioni e importazioni di circa 53 miliardi, record storico assoluto. «Il 2019 - dice Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia - è stato un anno molto positivo e frizzante, per la performance, ma anche per i meccanismi di accompagnamento all’export». Unico neo: l’Asia. Un mercato difficile, per dimensioni e cultura. Qui, fa notare Lanza, «un pezzetto di cammino l’abbiamo fatto, soprattutto per i beni di alta gamma e per quantitativi ridotti, ma rispetto alla Germania le nostre imprese fanno ancora fatica ad affrontare esportazioni su larga scala».

Poi, dopo dieci anni interrotti di crescita dell’export è arrivato lo shock più imprevedibile: la pandemia. Il primo lockdown, con lo stop a numerose attività produttive, ha avuto effetti devastanti sulle esportazioni, crollate ad aprile del 41,6,% rispetto a un anno prima, la più ampia riduzione dal 1993. Poi la risalita, con qualche spiraglio nei mesi successivi, e la cronaca recente della seconda ondata, con un nuovo lockdown a geometria variabile a livello mondiale che avrà inevitabilmente un impatto sugli scambi e sposterà la ripresa più in là.

«La situazione attuale induce alla cautela e le previsioni sul recupero delle esportazioni - dice l’economista - dovranno essere riviste al ribasso, ritardando il recupero delle posizioni perse». Le ultime stime di Prometeia indicano un calo complessivo del 12,6% dell’export dell’industria manifatturiera quest’anno con un rimbalzo dell’8,2% nel 2021 e del 4,7% nel 2022.

Anche la scelta delle destinazioni dovrà tenere conto delle incognite legate alla pandemia. «L’unica area che lavora a pieno ritmo e sembra aver superato l’emergenza Covid - sottolinea Lanza - è proprio l’Asia: Cina, ma anche Giappone, Corea, Thailandia e Vietnam. È opportuno però che il nostro sistema Paese non si faccia trovare impreparato e superi al più presto i nodi che erano venuti al pettine già lo scorso anno. Per competere con i concorrenti tedeschi sulla larga scala bisogna ragionare in termini di filiera, unire le maglie con acquisti integrati e proporsi ai clienti asiatici con una gamma completa di prodotti». I settori trainanti saranno ancora una volta il farmaceutico e i macchinari, anche grazie alla spinta delle tecnologie 4.0. «Questa volta - precisa Lanza - bisogna evitare errori, facendo i compiti a casa sul tracciamento e presentando progetti concreti per finanziare il rilancio di competitività nell’ambito del Recovery Plan Ue per segnare la rotta del Made Italy sui mercati internazionali almeno per i prossimi cinque anni. Ma occorre agire in fretta: in un momento di contrazione degli scambi la concorrenza è sempre più agguerrita». La nomina di Joe Biden alla presidenza americana, conclude l’economista, «riapre un’occasione importante per la costruzione di un’unità commerciale Europa-Usa anche per far fronte a sfide comuni e nel solco di una secolare collaborazione».

Intanto la situazione di necessità ha spinto le imprese del made in Italy a esplorare canali alternativi. Secondo un’indagine di Promos Italia su un campione di 400 Pmi, il 49% ha aumentato il ricorso all’export digitale e il 67% ne prevede un ulteriore sviluppo nei prossimi tre anni.

Riproduzione riservata ©
Pubblicità
Visualizza su ilsole24ore.com

P.I. 00777910159   Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie  Privacy policy