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Negoziare un aumento: una battaglia persa in partenza?

di Lorenzo Cavalieri

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(EPA)

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Come prima cosa dobbiamo chiederci in modo spietato qual è il valore/beneficio specifico che il nostro lavoro porta al nostro cliente/datore di lavoro

27 novembre 2020
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4' di lettura

Uno dei momenti più delicati e ricorrenti nella vita di un lavoratore dipendente è quello in cui si chiede l'aumento di stipendio al proprio manager/titolare/responsabile delle risorse umane. Questi dialoghi solitamente assumono lo schema di una rivendicazione lamentosa: “Mi spetterebbe…, mi avevi promesso che…, avresti dovuto…”. Dall’altra parte del tavolo anche le risposte sono quasi sempre le stesse: “Lo meriteresti, il momento è difficile, ti chiedo un po' di pazienza, dobbiamo tenere conto di certi equilibri”.

Seguendo molti professionisti in queste fasi di transizione di carriera mi accorgo che per la maggioranza delle persone la negoziazione di un aumento è una battaglia persa in partenza. Perché? Per rispondere bisogna tornare ai “fondamentali” e chiedersi “perché guadagno quello che guadagno?” Ovvero: “Quali sono i fattori che determinano il mio livello retributivo?”. Non siamo abituati a farci questa domanda perché nel mondo del lavoro del novecento i livelli retributivi erano “un dato di fatto”, una variabile tendenzialmente indipendente dalla performance, rigidamente prescritta secondo logiche sindacali/corporative.

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In una logica di mercato invece il nostro stipendio dipende sostanzialmente da due fattori. Conosciamo bene il primo: la legge della domanda e dell’offerta. Se tutti vogliono assumermi il mio valore sale. Se nessuno vuole assumermi il mio valore scende. Questa lapalissiana evidenza di mercato è in realtà collegata a un secondo fattore che invece molto spesso trascuriamo: il rapporto di forza negoziale tra il lavoratore e il suo cliente/datore di lavoro dipende anche dalla collocazione dell’attività del lavoratore nella catena di creazione del beneficio (valore) goduto dal cliente/datore di lavoro.

Questo assioma, apparentemente complesso, ci dice che nello “stato di natura”, se non intervengono fattori regolamentari/normativi, veniamo retribuiti non in base al nostro sforzo/impegno ma in base a quanto valore specifico la nostra attività ha portato al nostro cliente/datore di lavoro.

Per capire bene occorre partire dal concetto di catena di creazione del valore, facendo qualche esempio: quando compriamo il giornale in edicola spendiamo 2 euro che costituiscono il valore del nostro beneficio nel leggere il giornale. Immaginiamo questi due euro come una catena composta da 20 anelli del valore di 10 centesimi ciascuno.

Con i 2 euro ricompensiamo: 1) il proprietario del giornale che mette a disposizione le sue risorse per tenere in piedi la struttura e organizzare il lavoro dei giornalisti e del rimanente personale; 2) i giornalisti e il rimanente personale; 3) l’impianto con le rotative che ha stampato il giornale; 4) i distributori che hanno organizzato e gestito il trasporto delle copie in giro per l'Italia; 5) l’edicolante che ci ha salutato e ci ha porto il giornale.

Abbiamo retribuito 5 soggetti diversi in questa catena di 20 anelli ma non abbiamo dato 4 anelli a ciascuno. Abbiamo dato a ciascuno un numero di anelli corrispondente al beneficio che abbiamo attribuito alle 5 diverse attività dei 5 soggetti. Perché abbiamo scelto quel giornale? Perché era ben stampato? Un pochino. Perché è arrivato in tempo in edicola? Un pochino. Perché avevamo bisogno del saluto e del sorriso dell'edicolante? Un pochino. È probabile che abbiamo scelto di rinunciare a 2 euro perché volevamo leggere le notizie? No, le notizie sono ovunque, gratuitamente.

Presumibilmente abbiamo scelto di rinunciare a 2 euro soprattutto perché volevamo conoscere il pensiero e le storie di alcune persone che stimiamo. E ancor di più abbiamo scelto di rinunciare a 2 euro perché attribuiamo un valore di credibilità al giornale nella sua coralità, altrimenti ci limiteremmo a seguire il blog del singolo giornalista. Quindi dei 20 anelli probabilmente ne assegneremmo almeno 10 alla proprietà del giornale, 7 ai giornalisti e solo 3 agli altri 3 soggetti.

E se poi per noi non avesse nessun valore il saluto dell’edicolante e il profumo buono della carta stampata perché preferiamo i colori nitidi dello schermo del tablet non assegneremmo neanche un anello a stampatori, distributori ed edicolanti. È quello che sta accadendo in realtà. Gli edicolanti si spezzano la schiena, spesso al freddo e al gelo, svegliandosi alle 4 e mezzo e nel giro di pochi anni hanno scoperto che il loro lavoro ha un valore che tende a zero. Ecco spiegato il concetto di collocazione nella catena di creazione del valore.

Se gli utili della compagnia assicurativa dipendono per il 20% dall'avere dei bravi attuari e per il 40% dall'avere dei bravi agenti che vendono le polizze al giusto prezzo, il bravo agente guadagnerà il doppio del bravo attuario. E questo accade talvolta anche a prescindere dalla rarità della figura professionale sul mercato (legge della domanda e dell’offerta). Potrebbero esserci pochissimi geologi e moltissimi designer. Ma se io cliente finale mi innamoro più della bellezza che della solidità della casa e sono disposto a pagare un premio di prezzo per la bellezza il designer guadagnerà più del geologo.

Ancora un esempio. La mia attività di addetto alla cassa del negozio di abbigliamento è fondamentale. Il titolare del negozio mi dice che senza di me sarebbe perduto. Poi però quando definiamo il mio compenso “il piatto piange”. Perchè? Nulla da stupirsi. Il titolare non è incoerente. Magari la sua considerazione nei miei confronti è sincera. Tuttavia la definizione del mio compenso non si basa se non in modo residuale sulla sua stima nei miei confronti, ma sulla base del duplice meccanismo che ho appena descritto: 1) “Quanti potenziali commessi esistono che possono sostituire questo ragazzo?” (legge della domanda e dell'offerta;) 2) “Qual è stato il contributo delle mansioni svolte dal cassiere alla soddisfazione dei clienti e dunque agli utili del negozio?” (legge della catena del valore).

In conclusione prima di chiedere al capo o al titolare un aumento di stipendio chiediamoci in modo spietato qual è il valore/beneficio specifico che il nostro lavoro porta al nostro cliente/datore di lavoro. Prima di prendere una gentile quanto inesorabile porta in faccia proviamo a chiederci se possiamo fare qualcosa per guadagnare una posizione di forza spostandoci lungo la catena del valore.

* Managing Partner della società di formazione e consulenza Sparring

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