di Nicoletta Polla-Mattiot
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La domanda arriva nel contesto del Merger & Acquisition Summit, organizzato dal Sole 24 Ore. Si dibatte sulle possibili nuove acquisizioni in Italia da parte del gruppo LVMH e torna alla ribalta un quesito che, nei mesi scorsi, periodicamente si è affacciato alla cronaca: il possibile interesse del più grande polo del lusso per il Milan. A rispondere è Toni Belloni, direttore generale del gruppo LVMH, braccio destro e uomo di fiducia di Bernard Arnault da vent'anni esatti. «Non abbiamo nessun interesse per le questioni del Milan. Ormai mi sono esaurito nel cercare di smentire questa notizia, che ha attratto più attenzione di altre operazioni importanti che abbiamo fatto», spiega. «Abbiamo fatto un investimento importante con Tiffany che abbiamo consolidato a inizio di quest'anno. Siamo molto concentrati nella crescita organica dei nostri 75 marchi: c'è un ampio lavoro da fare. Certamente siamo sempre attenti e ci piace pensare che, se ci sono delle cose interessanti sul mercato, noi lo sappiamo». E liquida la questione, spazzando gli ultimi dubbi con una battuta: «Sono juventino e avrei un enorme conflitto d'interesse. Mi dovrei dimettere subito!»
Mi ritorna in mente la prima volta che ho incontrato Toni Belloni, durante una cena internazionale di cui era l'ospite. Ricordo la musicalità con cui passava dal francese all'italiano all'inglese, senza cambiare l'inflessione né la rilassata, amabile disinvoltura con cui parla abitualmente: una sola lingua, non tre. Ora sto aspettando di collegarmi con lui su Zoom per l'intervista che abbiamo fissato proprio per il suo ventennale nel gruppo LVMH. In più di un'occasione gli ho sentito ripetere che combatte con la timidezza da sempre: la fluidità con cui instaura relazioni pare contraddirlo, eppure s'intuisce una disciplina nella spontaneità. La stessa che in un'ora e mezza di conversazione mi rinnoverà la convinzione che non c'è niente di più difficile della semplicità. Numeri, strategie, acquisizioni, misure, nel contesto di una delle crisi più severe mai attraversate dal mercato mondiale, sono raccontati con la serietà lieve di chi mantiene il controllo e da lì trae fiducia. Un pensiero positivo senza l'affettazione dell'ottimismo ad ogni costo: «Nel medio termine, si tornerà a tassi di crescita rispettabili e attraenti. Il nostro mercato è sempre andato meglio del Pil globale e i vettori di crescita continueranno a sostenerlo».
Parla la pacifica consapevolezza di essere alla guida del gruppo più grande del lusso, con le migliori risorse umane ed economiche a disposizione: se non si riesce in queste condizioni a trovare soluzioni per la ripresa, chi altri? «In questi vent'anni ho vissuto un trend di grande espansione dei prodotti di lusso, una crescita media annua attorno al 5-6 per cento, ma anche tre momenti molto critici. Nel 2001 con i fatti dell'11 settembre, nel 2008 con la crisi finanziaria e nel 2020 con il Covid, un evento tragico sul piano umano e con un impatto dirompente sul mercato. Anche questa volta, l'obiettivo è di adattare il nostro modello di business per uscirne più forti. Le crisi consentono un'analisi critica più lucida e mettono le basi per idee nuove e cicli di crescita. La pandemia è uno stress test, ci ha costretto a reinventare ogni anello della catena del valore, ci ha dato una nuova agilità e nuove sensibilità». Pare semplice, lo si diceva.
Anche quando parla di numeri, Toni Belloni sceglie aggettivi morbidi, emotivi - le cifre possono essere “attraenti” come una bella donna, un bell'abito, un gioiello meraviglioso. Così è il suo modo di parlare, preciso senza asperità. LVMH archivia l'anno della pandemia con ricavi a 44,7 miliardi di euro in flessione del 17 per cento, ma «il mercato è più vicino a un calo del 25 per cento». Per questo non ha dubbi: «Valuto la nostra performance nel 2020 molto positiva per tre ragioni. La prima è che abbiamo rinforzato la nostra leadership, facendo meglio dei concorrenti nelle categorie principali. Per esempio, il nostro settore chiave, moda e pelletteria, ha raggiunto una crescita del 15 per cento nel secondo semestre rispetto allo stesso periodo del 2019: un risultato eccezionale. Il nostro cashflow sull'anno intero è stato in linea con il cashflow record del 2019: anche questo dato è straordinario. La seconda ragione di soddisfazione è la conferma che la forte diversificazione del nostro modello di business, sia dal punto di vista merceologico sia geografico, ci dà equilibrio e ci permette di reggere meglio le difficoltà. La terza ragione sono le nostre persone, formidabili: hanno tirato fuori uno spirito di appartenenza e capacità d'iniziativa inediti. I team distribuiti per il mondo si sono rivelati creativi, autonomi, reattivi, e questa è una grande ricchezza da cui ripartire».
Eppure i temi sul campo e le preoccupazioni non sono poche. Il retail, per cominciare: il gruppo ha 5mila negozi nel mondo e, mai come in questo momento di forzata accelerazione dell'e-shopping, occorre un ripensamento del rapporto fisico e digitale. Poi c'è il nodo del Global Travel Retail: rappresentava un mercato nel mercato, e fra i più promettenti, il Covid lo ha praticamente smantellato. Gli squaderno il cahier de doléances per capire come può conservare - e possibilmente trasmetterci - una visione positiva, considerata anche l'importanza che il gruppo ha in Italia con 31 siti produttivi, investimenti per più di 100 milioni ogni anno e oltre 11mila occupati. Ma Belloni rilancia, alzando la posta. Come ogni buon leader tiene in mano il gioco, cambiando strategia e ribaltando prospettiva: «Se è per questo, l'arresto degli spostamenti internazionali tocca gli aeroporti, le crociere e, sottolineerei anche la nostra recente acquisizione, la collezione di alberghi Belmond dove ci sono gioielli come Cipriani, Splendido, Villa San Michele... Il ritorno dei viaggi a pieno regime sarà una delle ultime realtà a ripartire perché occorre sentirsi totalmente al sicuro per intraprendere una vacanza lontano dalle proprie radici. Comunque, anche queste attività ripartiranno, e saremo prontissimi per approfittarne».
Perché allora scommettere sul settore adesso? Per la consapevolezza che il lusso si nutre di tempo. Forse per questo Belloni elenca soluzioni che cominciano tutte con “bisogna investire su”. Niente tagli? Nessuna razionalizzazione? «Certamente qualche negozio chiuderà perché si trova nel posto sbagliato, ma strategicamente credo che il canale di vendita digitale si integrerà con quello fisico. I negozi dovranno innalzare il livello di servizio e offrire esperienze innovative. Il loro valore per un'immersione multisensoriale nell'universo di una marca è insostituibile». Ancora una volta la scelta delle parole è importante: «Bisogna dedicare tempo all'attrazione di talenti», «mantenere l'effervescenza della filiera», «essere ben posizionati per quando ci sarà la ripartenza».
Non a caso un anno difficile come il 2021 si è aperto con l'acquisizione di Tiffany & Co. : «È il più grosso investimento che sia mai stato fatto, non solo nel gruppo, ma nel mondo del lusso. Ne sento profondamente la responsabilità. È una maison mitica che ci offre l'opportunità di diventare leader mondiali nel settore della gioielleria». Non a caso, parlando di investimenti sul territorio italiano, è stato «aperto il secondo atelier industriale di Thélios per il lancio della nuova linea Eyewear di Dior . Abbiamo anche annunciato la conversione di un vecchio sito dismesso nell'area di Firenze. Diventerà un centro produttivo per la pelletteria Fendi a partire dal 2022. Sarà un modello di efficienza con alti standard di sostenibilità ambientale e sociale».
I numeri sanno parlare il linguaggio delle emozioni e, in questo, la calibrata miscela di gioco e di entusiasmo sa essere magistrale. «Provi a dire un numero… Provi a dire quanti anni abbiamo, qual è l'età aggregata delle nostre maison. Con Tiffany siamo a oltre 8300 anni! È un dato incredibile che illustra meglio di qualunque altro il vantaggio competitivo del nostro portafoglio di maison. Le marche del lusso hanno una grande longevità e per questo lavoriamo sulla desiderabilità a lungo termine: è la nostra stella polare. Ma non si può rimanere statici, il rischio è di diventare polverosi. Invece si deve innovare con coraggio. Maison venerabili come Louis Vuitton, Guerlain, Bulgari, Dom Perignon vanno mantenute fresche e sorprendenti. Nel nostro business fare le cose bene non è sufficiente, bisogna che i brand abbiano qualche dimensione straordinaria».
Quando si riferisce alle maison del gruppo, Belloni usa spesso due parole, arsenale e saga, una metafora bellica e una mitologica: esprimono bene la sua visione di management. «Una forte competitività e l'idea che la collettività delle intelligenze sia più forte dell'individuo. A me piace raggiungere gli obiettivi attraverso gli altri, vincere insieme. Credo che si adatti bene al mio ruolo: abbiamo un arsenale di 75 maison diverse per dimensione, cultura, categoria. Io ho un punto di osservazione vantaggioso, la cosiddetta helicopter view, che mi consente di apprendere un po' da tutti i business e di trasferire domande da una maison all'altra: un'economia della conoscenza. I buoni leader volano alti, ma quando serve sanno scendere nel dettaglio, intervenire in prima persona, risolvere i problemi. Come dicono in modo poco elegante, ma efficace, gli americani: get shit done».
Se il lusso ha bisogno di tempo, anche la leadership non è da meno. Toni Belloni lavora da vent'anni in LVMH. Era il 2001, aveva 46 anni ed era presidente di Procter&Gamble per l'Europa quando venne scelto. «Sono entrato in azienda a maggio per un periodo di orientamento. Una settimana dopo l'11 settembre il signor Arnault mi nominò managing director del gruppo. Fece una scommessa su di me in un momento d'incredibile difficoltà per il mercato, in cui era necessaria una sterzata strategica importante. Di questi vent'anni resta ancora il ricordo più vivo, quello che ha cementato la mia fedeltà al gruppo, un momento topico, un atto di fiducia che non si può dimenticare. Fu un battesimo di fuoco, ma anche una situazione di grande apertura al cambiamento».
Fra i compiti di Belloni c'è anche la formazione dei manager che scriveranno il futuro dell'azienda, «non persone bravine a fare tutto, ma staordinarie in qualcosa». Mi chiedo - e gli chiedo - quali caratteristiche straordinarie debba aver avuto per restare a fianco di Arnault in questi vent'anni. «Io credo di essere un po' il frutto della mia esperienza», risponde. A tanto diplomatico understatement oppongo almeno due rarità, che gli sono peculiari: una curiosità intatta per il nuovo («Le generazioni Y e Z rappresentano un buon 40 per cento del mercato globale del lusso e praticamente il 100 per cento della crescita ogni anno. Sono loro i trendsetter e noi adulti ne siamo influenzati. La mia ultima figlia, che è una teenager, prima mi ha scritturato come comparsa e poi mi ha spiegato i segreti di TikTok. Oggi è una piattaforma di comunicazione usata da tutte le marche. C'è stato un momento in cui ero il più grande esperto di tutto il nostro comitato esecutivo grazie a lei!») e l'eccezionale capacità di traiettoria. Ultima, non sottovalutabile qualità: «Essere nato italiano, una fortuna formidabile. Nel lusso, la nostra cultura umanistica, la predisposizione alla comunicazione e ai rapporti umani, il senso estetico, l'arte di saper vivere, ci rendono equipaggiati a fare bene!».
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