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Manifattura italiana ancora in rosso nel 2024

di Luca Orlando

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Non basteranno quattro anni per recuperare il gap. Nel 2020 ricavi giù di 160 miliardi. Bene solo il farma, crollano auto, moda, meccanica.

27 maggio 2020
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4' di lettura

Farmaceutica, punto. Nelle stime di Intesa Sanpaolo e Prometeia sarà l'unico settore manifatturiero in grado di chiudere il 2020 con ricavi in crescita, all'interno di un quadro complessivo desolante.
In valori correnti l'impatto del virus nell'anno in corso vale poco meno di 160 miliardi di euro, voragine del 17,6% (-14,7% a valori costanti) che richiederà anni per essere ricucita.

Il rimbalzo in arrivo nel 2021 (6,9%) e quello più modesto del triennio successivo non saranno infatti in grado di riportare almeno “in pari” molti settori, con il risultato di trovare l'intera manifattura italiana distante 2,6 punti dal picco pre-crisi.
Se infatti meccanica, beni intermedi ed elettronica si troveranno nel 2024 appena al di sotto dei livelli 2019, per le aree più colpite dalla fase recessiva (elettrodomestici, sistema moda, auto e moto) il percorso di recupero sarà ancora più lungo.
Solo una manciata di comparti, oltre alla farmaceutica anche largo consumo, alimentari ed elettrotecnica, si troveranno a quel punto al di sopra dei valori pre-crisi, pattuglia risicata all'interno di una lunga sequenza di segni meno.
Si tratta in media dei comparti in cui la ferita 2020 è meno evidente, come è il caso del comparto alimentare. Azzoppato sì dal crollo della domanda del canale Horeca ma comunque sostenuto dall'accaparramento nei supermercati, in Italia e all'estero. Con il risultato di limitare il calo dei ricavi per l'anno in corso al 4,4%.

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La scure del virus
Il crollo del settore auto e moto (-25,9%) si riverbera all'estremo opposto sull'intera filiera dei prodotti in metallo e della metallurgia, spingendo la meccanica a cedere poco meno del 20% dei propri ricavi. Risultati non distanti da quelli degli altri comparti più penalizzati sia sul fronte dei consumi interni che dell'export, come mobili (-15,4%), sistema moda (-18,6%) ed elettrodomestici (-22,1%).
Scenario già cupo, che oltretutto sconta ulteriori rischi al ribasso, derivanti da eventuali nuove fasi di stop & go dell'attività, così come da nuove difficoltà nell'ambito del commercio internazionale, con nuove tensioni possibili indotte dalla pandemia, all'interno di un anno elettorale per la presidenza Usa.

Le chance per l’Italia

Qualche spazio di ottimismo è tuttavia possibile, guardando all'evoluzione di alcune variabili in grado di rilanciare la manifattura tricolore.
LA domanda mondiale, infatti, nelle stime degli analisti supererà a prezzi costanti nel 2024 i livelli pre-crisi, dinamismo che potrà spingere verso l'alto anzitutto la nostra filiera meccanica: l'ipotesi è che questa potrà arrivare anche cinque punti oltre i livelli di export 2019.
Più in generale, una prevedibile revisione delle piattaforme produttive e delle supply chain in chiave difensiva potrebbe offrire vantaggi competitivi ai comparti in diretta concorrenza con i produttori asiatici. Quindi meccanica, beni intermedi, sistema moda.
Altra spinta positiva è prevista per i processi di digitalizzazione e automazione, cruciali in queste fasi di lavoro a distanza, con il risultato di un rilancio degli investimenti in questi ambiti, investimenti che presumibilmente potranno proseguire anche nel settore farmaceutico, univa vera “star” produttiva nell'emergenza.

«La gestione dell'emergenza – spiega il chief economist di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice - può, e deve, essere l'occasione per accelerare i processi di trasformazione, in particolare nell'ambito della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione della nostra economia. Investimenti verso progetti e produzioni a basso impatto ambientale rappresentano un fattore competitivo e di sviluppo per l'economia. A maggior ragione dopo questa emergenza sanitaria, che ha permesso di verificare i vantaggi delle nuove tecnologie (dal controllo non tradizionale delle fabbriche, alle vendite online, allo smart working), occorre accelerare sul fronte della digitalizzazione con uno sforzo congiunto delle imprese, anche quelle di minori dimensioni, e delle istituzioni, per aumentare gli investimenti ma anche le competenze, su cui l'Italia sconta un gap non più sostenibile».

«La crisi - spiega Per Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia, potrebbe accelerare processi di near-shoring, già avviati per alcuni settori, al fine di garantire i cicli di fornitura anche nel caso di nuovi fenomeni epidemici e di contenere i rischi connessi a una produzione frammentata su scala globale. Ciò potrebbe, da un lato, offrire vantaggi competitivi per il tessuto manifatturiero italiano, con un potenziale guadagno di quote di mercato. Dall'altro però implicherebbe anche per le imprese italiane pressioni sui margini e la necessità di investire in R&D e in miglioramenti di efficienza».

Più solide del 2009

Altro motivo di conforto è il grado di solidità delle aziende, mediamente superiore al termine della dura selezione operata dalla crisi avviata tra fine 2008 e 2009. Liquidità e patrimonializzazione risultano oggi su livelli superiori, con un panorama produttivo che pare dunque meglio attrezzato di allora per affrontare le difficoltà. Capacità autonome a cui si aggiungono le misure messe in campo dal Governo, ritenute critiche per evitare che eventuali squilibri si riverberino lungo le filiere colpendo gli anelli più deboli della catena del valore.
Elementi che nelle stime degli analisti potranno arginare la caduta della redditività media del manifatturiero. Vista a fine anno al 4,9%, comunque oltre un punto in più rispetto a quanto accaduto nel 2009, livello che a partire dal 2021 tornerà comunque a crescere. Con i livelli più alti (oltre il 15%) per farmaceutica e largo consumo.

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