di Maurizio Caprino e Franca Deponti
Coronavirus, positivi due giudici del tribunale di Milano
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Il coronavirus non fa sconti: a Milano sono stati contagiati anche due magistrati. Cioè due appartenenti alla categoria che nei primi dieci giorni dell’emergenza ha dettato le regole. Tutelando soprattutto sé stessa, secondo le malelingue. La verità è che ognuno - togati, cancellieri, avvocati - si è arrangiato come ha potuto, di fronte al silenzio del ministero della Giustizia. Ecco una raccolta di episodi più curiosi e situazioni di allerta.
Il rinvio fai-da-te
Non si può sapere se sarà il più efficace, ma di certo il rimedio più “convincente” lo hanno trovato nella cancelleria di un tribunale calabrese. Di fronte al caso di un cittadino bergamasco in favore del quale bisognava espropriare un terreno, hanno prospettato al suo avvocato due possibilità alternative: rinviare tutto a giugno o, se il cittadino avesse rinunciato a essere presente delegando tutto al suo legale, procedere immediatamente (come era stato programmato). Facile immaginare quale risposta sia arrivata da Bergamo.
Palazzo di Giustizia di Potenza
Divieti, ostacoli e copie cortesia
A Potenza il fai-da-te è arrivato a vietare l’ingresso a Palazzo di giustizia ad avvocati provenienti da Milano, in uno dei primi giorni dell’emergenza. A Milano si racconta di udienze tenute a finestre aperte, nel tentativo non dichiarato di dissuadere i presenti dal restare in aula. In un tribunale romagnolo si sono tenute udienze con scrivanie frapposte tra le parti e il giudice.
Un po’ dappertutto, come per magia, è diventata sgradita una prassi introdotta al debutto dei processi telematici: quella delle copie-cortesia, richieste dai magistrati per evitare di studiare gli atti a video. La paura del virus fa preferire questo disagio.
I problemi di costituzionalità
A Bergamo all’inizio dell’emergenza si era verificata una delle situazioni più imbarazzanti: gli accessi al Palazzo di giustizia sono stati contingentati e la presenza degli imputati alle udienze penali è stata permessa solo dietro diretta assunzione di responsabilità dei loro avvocati sulle conseguenze di un eventuale contagio. Limitazioni analoghe in altre città.
Visto che il diritto di difendersi è garantito dalla Costituzione, sono fioccati i rinvii, anche per processi importanti come quello di Caltanissetta sui depistaggi alle indagini sulla strage di via D’Amelio che costò la vita a Paolo Borsellino e alla sua scorta. Rinvii che si aggiungono ai tanti che già si verificano normalmente.
A Milano, poi, il Tribunale di sorveglianza ha negato permessi premio ai detenuti con la motivazione che uscendo dal carcere avrebbero rischiato di infettarsi e, al rientro, di portare il contagio nelle celle. Per lo stesso motivo, ci sono avvocati che hanno deciso di sospendere le visite ai loro clienti detenuti.
Carcere di Pagliarelli - Palermo
Nel carcere palermitano di Pagliarelli, ogni avvocato può ora entrare per parlare al massimo con due assistiti e comunque deve indossare la mascherina.
Sono tutte questioni che toccano diritti costituzionali e sulle quali è facile prevedere che sorgerà un contenzioso suscettibile di arrivare anche davanti alla Consulta. Tanto più che il ministero della Giustizia non ha adottato alcun provvedimento, per esempio una sospensione dei termini per alcuni giorni su tutto il territorio nazionale, in attesa di sviluppi.
Così tutto è stato rimesso di fatto alle decisioni dei capi dei singoli uffici giudiziari o ai sindaci.
Sono decisioni che tengono nell’incertezza i legali che hanno clienti in varie zone d’Italia e li costringono a viaggiare da una sede all’altra rischiando di restare contagiati e di portare altrove il virus.
I primi contagi e le misure di emergenza
Ma tutto questo non è bastato a evitare contagi. Martedì 3 marzo si è saputo di due giudici del Tribunale di Milano (dove dal 23 febbraio vigevano disposizioni urgenti, tra cui il contingentamento degli accessi alle aule, la distanza di almeno due metri fra persone e la sospensione degli eventi formativi). Altri due di Brescia messi in quarantena con un cancelliere perché un consulente tecnico è risultato positivo al coronavirus.
Sono così scattate immediate misure di emergenza, fissate da due provvedimenti emanati a Milano nel giro di poche ore tra il pomeriggio e la serata del 3 marzo: uffici chiusi, tranne che per i casi urgentissimi.
Ciò non ha impedito che la mattina del 4 marzo in una sezione penale venisse disposta la presenza degli avvocati anche per tutti gli altri casi. Una decisione motivata con la necessità di “prendere” personalmente la data alla quale le udienze vengono rinviate. Con buona pace delle tecnologie telematiche.
Si è rivelato inutile anche lo stato di agitazione precedentemente proclamato dai penalisti, chiedendo l’immediata sospensione, quantomeno fino al 16 marzo , di tutta l'attività giudiziaria non urgente e il rinvio d'ufficio di ogni udienza, «con esclusione dei procedimenti nei confronti di persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare». Anche Vinicio Nardo, presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano crede ci debba essere il rinvio «di tutti i processi civili e penali non urgenti» senza tergiversare.
Per ora sono monitorate tutte le persone che hanno avuto contatti diretti e frequenti con i due magistrati e una quindicina di magistrati e personale amministrativo in autoisolamento preventivo. E altre ne seguiranno.
Franca Deponti
Maurizio Caprino
vicecaposervizio
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