di Claudia Manzi * e Claudio Lucifora *
(EPA)
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Con il decreto ottobre varato dal Consiglio dei ministri sono state prorogate fino al gennaio 2021 diverse misure emergenziali tra cui il lavoro agile in modalità semplificata, che potrà essere attivato anche senza accordi individuali con i propri dipendenti. Anche la Pubblica Amministrazione si è adeguata con un decreto che proroga e disciplina ulteriormente il lavoro agile consentendo ad almeno il 50% del personale di lavorare da remoto fino al 31 dicembre 2020. Anche se continuiamo a chiamarlo smart working, in realtà dallo scorso marzo in seguito alla diffusione del virus gran parte dei lavoratori per limitare spostamenti e ridurre il rischio di contagio, di fatto lavorano da casa, ma in maniera poco “smart”.
Le aziende quanto le famiglie hanno dovuto modificare l’organizzazione del lavoro e i propri stili di vita, cercando di conciliare lavoro e carichi di cura in un contesto totalmente nuovo. Durante la fase più rigida di lockdown si stima che più di 8 milioni di lavoratori abbiano lavorato da casa (dall’8% ad oltre il 40% del totale degli occupati). Tuttavia anche dopo la prima fase dell’emergenza molte imprese hanno incoraggiato i propri dipendenti a lavorare alcuni giorni da remoto, e stanno programmando di rendere questa modalità di lavoro strutturalmente stabile anche per il futuro.
Anche se i dati di alcune indagini di clima aziendale mostrano un moderato gradimento da parte delle imprese e dei lavoratori (più di 1 lavoratore su 2 si dice molto o del tutto contento di lavorare da casa) in realtà sappiamo ancora molto poco di come le famiglie hanno affrontato questa nuova situazione. L’evidenza aneddotica restituisce una grossa difficoltà delle donne, soprattutto quelle occupate a tempo pieno, nella conciliazione vita-lavoro, e un diffuso malessere psicologico, stress e isolamento per entrambi uomini e donne. Ma la realtà qual è?
Per colmare questo vuoto il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore ha avviato un’importante ricerca su tutto il territorio italiano con l’obiettivo di cogliere gli effetti sulla gestione dei carichi di cura familiari e di lavoro gestione dello stress. Ai partecipanti allo studio è stato sottoposto un questionario nella prima fase dell’emergenza sanitaria (Marzo2020) e successivamente nella seconda fase (Luglio 2020) al fine di monitorare nel tempo una serie di indicatori relativi al benessere, alla vita lavorativa e ai problemi di conciliazione.
I dati dello studio rilevano un sostanziale peggioramento del quadro relativo al benessere psicologico. Gli intervistati non solo non riportano minori livelli di stress (che rimangono invece elevati soprattutto per le donne), ma mostrano un significativo peggioramento della capacità di gestire l’emergenza sanitaria in maniera positiva e un aumento dei problemi legati alla conciliazione tra vita privata e lavoro (soprattutto per le donne). Di fatto i carichi di cura legati ai figli, con una ripresa incerta dei servizi dedicati all’infanzia, rimangono ancora a carico delle famiglie.
Tra gli svantaggi percepiti risulta al primo posto la mancanza di un contatto in presenza con i colleghi (54,2%), la mancanza di momenti di pausa nella giornata lavorativa (53,4%) e lo stress correlato all’uso della tecnologia (51%). È inoltre interessante rilevare che 1 lavoratore su 2 che lavora da casa percepisce di lavorare più del solito. Ma cosa ha funzionato meglio, in questi mesi di pandemia, per le esigenze di vita e lavoro delle famiglie?
Tra i vantaggi percepiti dal lavoro da casa, gli intervistati mettono al primo posto il risparmio in termini di fatica e costi del pendolarismo (79,2%) e una maggior tutela della propria salute a fronte delle possibilità di contagio Covid-19 (64,5%). Rispetto alle misure introdotte dal governo con il decreto “Cura Italia” (bonus partite Iva, bonus baby-sitter e bonus centro estivi, congedi parentali) le percentuali di utilizzo risultano molto modeste nel campione degli intervistati. Tra le misure più apprezzate per chi ne ha usufruito ci sono i bonus baby-sitter e centri estivi mentre meno soddisfacente risulta essere il congedo parentale.
Sono emerse invece come decisive le iniziative di welfare aziendale attivate in questo momento dalle aziende. I lavoratori le cui aziende hanno attivato iniziative di supporto (supporto psicologico, sostegno al reddito, coperture assicurative, iniziative a supporto della genitorialità e dei caregiver, iniziative a sostegno della conciliazione lavoro-famiglia) mostrano livelli più elevati di performance e soddisfazione lavorativa, identificazione con l’azienda e minori livelli di stress.
In sintesi i dati mostrano un evidente problema di gestione organizzativa tra carichi di lavoro e carichi di cura che si somma sulle spalle delle persone in un momento già difficile perché segnato dalla minaccia per la propria salute e l'incertezza economica. I costi psicologici di queste difficoltà risultano evidenti e indipendenti dall’andamento della pandemia e dovrebbero essere fatti oggetto di seria attenzione da parte delle istituzioni.
* Università Cattolica del Sacro Cuore
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