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Italiani in fila per accedere ai fondi stanziati negli Stati Uniti per le Pmi

di Laura La Posta

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(Getty Images/iStockphoto)

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Disponibili altri 310 miliardi di dollari per sostenere le imprese con dipendenti negli Stati Uniti danneggiate dal lockdown anti-pandemia.

28 aprile 2020
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8' di lettura

Altri 310 miliardi di dollari, dopo i 349 iniziali, sono in assegnazione negli Stati Uniti dal 27 aprile, nell’ambito del programma di aiuti per le piccole e medie imprese Sba Ppp (Small business administrazion paycheck protection program) che offre prestiti in prevalenza a fondo perduto, in cambio della promessa di non licenziare o di riassumere i dipendenti.
La misura si inquadra nel Cares act (Coronavirus aid, relief, and economic security act) da oltre duemila miliardi di dollari, lanciato per evitare il tracollo economico durante le misure di contenimento del Covid-19. In palio c’è una boccata d’ossigeno: un ammontare pari a 2,5 volte il costo medio del personale fino a un massimo di 10 milioni (ma c’è chi ha avuto di più, con escamotage discutibili), senza garanzie personali, impiegabile al 75% per pagare gli stipendi, e il resto per mutui o affitti e le bollette, nelle otto settimane successive all’erogazione. Meno si licenzia, più il prestito verrà “dimenticato” e diventerà a fondo perduto.

Le previsioni di adesione
Anche per questa seconda fase del programma si prevede un’adesione forte fra gli imprenditori italiani attivi negli Stati Uniti. In particolare, di quelli rimasti fuori dalla prima fase del programma, esaurita nell’arco di 13 giorni, secondo il principio “first come, first served”. L’entusiasmo iniziale, al momento del lancio il 3 aprile, si è però attenuato (come raccontato dal Sole 24 Ore il 26 aprile), sotto il peso di dubbi interpretativi, dei ritardi nell’accredito dei fondi approvati, degli scandali (soldi erogati a grandi imprese, persino quotate e oltre i 500 dipendenti), della mala–gestione delle grandi banche (indebite preferenze verso clienti storici e caos organizzativo). Tuttavia, gli “italiani d’America” sembrano propensi a continuare ad aderire al programma e stanno inviando le richieste di adesione ai lender accreditati.

Il primo bilancio dei richiedenti italiani
Molto variegato il panorama dei richiedenti italiani: filiali Usa di gruppi della moda e dell’alimentare con meno di 500 dipendenti negli Stati Uniti, ristoratori, intermediari immobiliari, retailer, real estate developer, società della comunicazione e dell’entertainment, fornitori di tecnologie per i trasporti e altri settori, imprese manifatturiere con impianti Oltreoceano. Spiccano diversi grandi nomi, che preferiscono non essere citati.
Fra le società di piccole e medie dimensioni, a titolo esemplificativo, ci sono filiali come Bat Usa (società americana di Bat Group, con sede principale a Noventa di Piave, in Veneto), gli importatori e distributori di vino Vias Imports (molto conosciuti a New York il presidente Luca Bigerna e il direttore marketing Enrico Contini), Empson & Co. e VeroVino, guidati rispettivamente dalle italo-americane Tara Empson e Sheila Donohue, il gruppo di pubbliche relazioni e organizzazione eventi Colangelo & Partners di Gino Colangelo, la società immobiliare William Raveis Legends realty group, che fa capo a Elvira Aloia, C&D Import di Gennaro D’Alessio, Gattopardo Group di Gianfranco Sorrentino, Sola Hospitality group (forte di quattro ristoranti) di Simone Tiligna.
«Sola Hospitality Group ha fatto domanda di adesione per tutte le locations (Sola Pasta Bar, Sola Lab e i due Call Me Pasta) in quanto l’obiettivo è mantenere tutto il team di lavoro compatto, senza licenziare – spiega il co-fondatore Tiligna -. Noi lavoriamo con i grandi gruppi bancari (JP Morgan Chase, Bank of America, Citi Bank) che non sono riusciti a dare feedback immediati. Speriamo che l’application sia approvata rapidamente in questo secondo round di finanziamenti, altrimenti dovremo pensare che siano vere le polemiche sul fatto che siano state portate avanti in prevalenza le richieste dei grandi player a discapito dei piccoli imprenditori».
Ma c’è anche chi è riuscito a entrare nella prima parte del programma e persino ad avere già i soldi versati sul conto corrente.

Il ruolo degli studi di consulenza
«Il nostro studio ha aiutato a fare richiesta degli Small business loans 36 società, di cui 33 a capitali italiani e 3 americani, di diversi settori (alimentare e vino, hospitality, farmaceutica, retail, servizi, tecnologie, gestione dei rifiuti, automotive, oil & gas) – racconta Filippo Amoroso, a capo dell’ufficio di San Francisco della Lta US Advisors, network di commercialisti presente sulla West Coast, a New York e a Milano –. Le application approvate al primo round sono state 21 e in 9 casi i fondi sono già stati erogati. Fra questi ultimi, 7 con il lender City national bank, una (americana al 100%) con JP Morgan Chase e una con Bank of America (presentata subito). Per quanto riguarda le 15 richieste rimanenti, portate al second round, due sono state approvate da Silicon Valley bank e le altre sono ancora in stand-by. Wells Fargo, JP Morgan Chase, Citibank e BofA non hanno favorito le domande delle società con proprietari italiani senza numero fiscale americano. Speriamo che questa seconda tornata riesca ad accontentare tutti gli eligible (che presentano le caratteristiche elencate nelle linee guida del piano)».
«A nche i nostri clienti apparentemente eligible, per l’80% europei, hanno già fatto domanda o la stanno presentando e alcuni di loro hanno già avuto i fondi: il tempo è un fattore critico e questa seconda tornata di finanziamenti è destinata a esaurirsi presto – conferma Giovanni Spinelli, managing partner dello studio legale newyorkese Pavia & Harcourt –. Ma nonostante guidance, frequently asked questions e chiarimenti contenuti nelle Final rule, restano aspetti interpretativi dubbi e sono sempre possibili ripensamenti sulle policy da parte della federale Small business administration. Ad esempio, come si fa a dimostrare di non poter accedere ad altri fondi, attraverso prestiti ordinari o altri programmi di supporto? Questo non è tuttora chiaro. E che cosa si intende per grandi società? Non esclusivamente le quotate, portate solo a esempio di aziende “grandi” nella nuova Guidance federale, appena diffusa. Chi decide di andare avanti comunque deve farlo con la consapevolezza che le interpretazioni federali potrebbero differire da quanto emerso finora, considerando anche altre opzioni di finanziamento e allegando tutta la documentazione utile a dimostrare la buona fede al momento della richiesta di adesione al programma».

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Regole da interpretare
Anche lo studio newyorkese Funaro & Co conferma di aver erogato consulenze per molti richiedenti. «Purtroppo misure importanti e “voluminose” come la Sba Ppp hanno sempre dei punti non chiari: noi consigliamo ai clienti di richiedere il finanziamento, se lo ritengono opportuno, ma di tenere a mente che c’è la possibilità che l’interpretazione finale sia diversa e che l’erogazione o la cancellazione del debito possa essere negata», spiega il senior partner di Funaro, Maurizio Ameri.
Pochi sono stati esenti da problemi, in fase di registrazione della pratica. Anche il consulente Gian Carlo Aliverti, presidente di US Gate, conferma le difficoltà con alcune banche, in particolare Bank of America e JP Morgan Chase, propense a portare avanti principalmente clienti di nazionalità americana (indebitamente perché le norme parlano di residenza dei lavoratori e non di nazionalità dei proprietari delle imprese).
Ma gli ostacoli sono aggirabili in diversi modi, fra cui i più semplici sono cambiare banca o presentare la domanda su moduli cartacei, senza passare per il modulo digitale che ha rappresentato per le società di medie dimensioni delle vere e proprie forche caudine
. Questo perché i grandi gruppi avevano in prevalenza una holding americana come maggiore azionista, con numero fiscale americano, mentre ai piccoli imprenditori bastava il social security number. Il modulo applicativo non prevede, al momento, l’opzione di avere un proprietario italiano sprovvisto di uno dei due codici.
Stessa situazione in New Jersey, racconta Massimo Bortolotto,
vice president della società di consulenza Global export network. «Noi siamo riusciti a presentare sei domande per nostri clienti, cinque con Bank of America e una con Chase - riferisce -. La procedura con JP Morgan Chase è stata piuttosto lineare, mentre per BofA abbiamo speso tempo ed energie per superare i vincoli dell’online application che non consentivano l’accesso ad ownership non statunitensi. Le banche le hanno però trasmesse all’SBA solo all’apertura della seconda tranche e ora aspettiamo la risposta federale.

Gli altri nodi del programma
Per tanti, quindi, fra risoluzione dei problemi burocratici e ritrosie iniziali (di chi aveva inteso che i fondi fossero destinati solo a negozianti disperati per la chiusura forzata), il tempo è passato rapidamente e i fondi della prima tornata sono finiti. Una novità interpretativa che ha spinto molti italiani a preparare l’application per la seconda fase del piano è stato il chiarimento apportato dalla Final rule, confemato dal nuovo modulo per la richiesta e dalle Faq (frequently asked questions) pubblicati online.
«Questi chiarimenti non smentiscono al momento la nostra interpretazione ( anticipata sul Sole 24 Ore ): pare proprio che al momento possano fare richiesta dei fondi per gli small business anche le filiali americane di gruppi italiani che negli Usa hanno meno di 500 persone, indipendentemente dal fatto che all’estero ne abbiano anche di più – spiega Giovanni Spinelli –. Il programma Sba Ppp non intende discriminare le società a capitale estero, grandi o piccole che siano, puntando invece a salvare posti di lavoro. In tanti mi hanno chiesto i riferimenti normativi sparsi nelle centinaia di pagine di Final rule, Faq, Guidance e del Cares act. Eccone alcuni: bisogna guardare il paragrafo 2.a della Ppp Interim final rule (versione per i lenders), il paragrafo 1 della versione per gli applicants e soprattutto la domanda numero 7 del modulo applicativo nuovo. Ovunque si parla di “principal place of residence in the Unites States”, riferimento che nelle versioni precedenti non c’era. In linea generale, conviene allegare alla application documenti che rivelino senza reticenze gli assetti azionari e organizzativi rilevanti. Ciò potrebbe aiutare a confermare, all’occorrenza, la buona fede nell’interpretazione del programma».

Restituzioni forzate del prestito
In conclusione, è necessario non tradire lo spirito della norma, che si rivolge principalmente a piccole e medie imprese. Non a caso, dopo le forti polemiche per l’assegnazione dei fondi a grandi multinazionali, che li hanno ricevuti con escamotage infilati nei dubbi interpretativi, il Treasury department ha definitivamente chiarito nelle ultime Guidance che “le società grandi, ad esempio le quotate” (testuale) non dovrebbero chiedere questi fondi, perché si presume che possano finanziarsi agevolmente in altro modo. Il Tesoro ha chiesto a questa tipologia di società che hanno percepito i fondi di restituirli entro il 7 maggio. «A chi ha fatto domanda indebitamente sta tornando indietro il boomerang, con un danno d’immagine rilevante», rileva l’avvocato Spinelli.
Le critiche pubbliche – alimentate sui media, da cause legali e da interventi sui social media – hanno spinto colossi come la catena di fast food Shake Shack a restituire anticipatamente i fondi avuti. Hanno fatto scalpore grandi gruppi che hanno ricevuto ben oltre 10 milioni, cumulativamente, per le loro varie società che peraltro avevano già licenziato o messo in congedo migliaia di dipendenti (suddivisi in varie sedi americane). Alcune di queste società sarebbero riconducibili persino a persone dell’entourage del presidente Donald Trump.

Le possibili sanzioni
Fondamentale, nella fasi di eventuali controlli delle erogazioni (più probabile nel caso di fondi eccedenti i due milioni di dollari, come appena annunciato dalle autorità), sarà dimostrare la buona fede nella compilazione della domanda. In assenza di dolo o frode, i beneficiari in buona fede reputati “not eligible” dovranno restituire il prestito, a un tasso dell’1%. Chi avrà barato, invece, rischia di essere portato in giudizio e multe fino a un milione, per quanto riguarda le sanzioni penali, ma fino a un multiplo di tre volte l’ammontare del prestito più le spese legali (presumibilmente ingenti) per quanto riguarda le sanzioni civili legate alle frodi su fondi governativi (i cosiddetti treble damages). Manovre dietro le quinte sono troppo rischiose: negli Stati Uniti i whistleblower (ad esempio, impiegati a conoscenza di illeciti) possono ottenere fino al 30% della somma risultante dal ristoro dei danni.

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