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Musei statali visitatori e introiti in picchiata

di Marilena Pirrelli

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Nel 2020 persi 180 milioni di euro e in media il 75% dei visitatori, cioè 40 milioni in meno a partire da Pompei che perde l’85%, il Colosseo l’80%, l’Archeologico di Reggio Calabria il 75% e via elencando. Necessario un Recovery plan pluriennale per la cultura

11 febbraio 2021
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4' di lettura

Il successo dalla riapertura degli Uffizi di Firenze, 7.300 visitatori in sei giorni, nonostante l'apertura limitata ai giorni feriali e ai visitatori della regione, sono una boccata di ossigeno ma per i musei statali italiani l’anno appena concluso è di lacrime e sangue: è stato perso in media il 75% dei visitatori in quelli statali con un forte e corrispondente decremento degli incassi: dai 240 milioni di euro del 2019 si è passati ai 60 milioni del 2020, secondo i dati dell' Ufficio statistico del Ministero per i Beni culturali (Mibact) anticipati a Famiglia Cristiana che dedica un'inchiesta alla riapertura di mostre e musei in seguito al passaggio in zona gialla di molte Regioni. “Per superare questa crisi è necessario che i luoghi della cultura ripensino la loro funzione, trasformandosi in centri aperti alla comunità per molteplici attività” spiega Massimo Osanna, da settembre direttore generale dei Musei Statali Italiani . Nello specifico i dati sul crollo delle visite nel 2020 rispetto all'anno precedente, vedono il Parco archeologico di Pompei registrare un calo dell'85%, il Colosseo dell'80%, il Museo archeologico di Reggio Calabria del 75%, il Museo Egizio di Torino del 70%, le Gallerie degli Uffizi di Firenze del 70% e le Gallerie dell'Accademia di Venezia del 68%.

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Massimo Osanna, direttore generale dei Musei Statali Italiani

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“Beni culturali e luoghi della cultura devono immaginare una nuova 'vita' al di là dei grandi flussi turistici, spesso alimentati dagli stranieri” ha detto Osanna, già direttore del Parco archeologico di Pompei e docente di Archeologia. “I musei devono diventare sempre più attraenti per chi vive nel territorio circostante, devono essere luoghi aperti, in cui si va per ammirare un capolavoro, ma anche per incontrare altre persone o partecipare a un evento” sottolinea. Il Recovery Plan potrà aiutare? “Queste risorse andranno spese bene, sia nei grandi centri, sia nei piccoli borghi, luoghi dell'identità locale da preservare a tutti i costi” dice Osanna.

Un Recovery per la cultura

Il Recovery Fund approvato martedì dal Parlamento europeo per l’utilizzo del fondo europeo da 672,5 miliardi di euro, supporterà gli Stati Membri della UE nei programmi di contrasto al Covid e di rilancio economico per la ripresa. Entro aprile l’Italia, come gli altri stati membri, dovrà presentare il proprio Recovery Plan: al nostro paese spettano in tutto 209 miliardi circa, che posto avrà la cultura? Ieri nel corso delle consultazioni il premier incaricato Mario Draghi ha incontrato tra le parti sociali, anche le rappresentanze dello imprese e istituzioni dello spettacolo. Il presidente dell'Agis Carlo Fontana ha chiesto: “non una riapertura immediata ma programmata, sostenuta, con incentivazioni e promozione”. Sarebbe utile che anche le altre rappresentanze sociali del mondo della cultura avessero voce. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato a gennaio l'investimento sulla cultura viene come uno strumento strettamente connesso allo sviluppo socio economico del paese, e viene inserito nella prima missione (delle 6 totali) sotto la dicitura “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”, con una richiesta di fondi che sale a 46,18 miliardi rispetto ai 45,86 precedentemente pianificati durante l'analisi del documento di confronto con i partiti. Sarà confermata o meno dal nuovo governo questa progettazione?

Le carenze da colmare

Poiché l’attrattività e fruizione futura si gioca anche sul fronte del capitale umano a disposizione di queste istituzioni, se il Mibact ha messo a disposizione, attraverso bandi, un fondo da 10 milioni per il sostegno dei fornitori di servizi di guida, audioguida e didattica e altri 27,5 milioni per rafforzare il personale nei luoghi della cultura e 1 milione per digitalizzare i piccoli musei, resta da capire cosa serve per la sostenibilità economica nei prossimi anni e quali le risorse umane a disposizione. Il contingentamento proseguirà, così come i flussi di visitatori per forza maggiore si ridurranno. Insomma quegli introiti via via crescenti negli ultimi anni derivati dalla biglietteria e dai servizi aggiuntivi saranno certamente ridotti, che fare? Le ultime analisi dimostrano che la fruizione online non sostituisce da un punto di vista economico quella offline, la integra semmai. Come faranno queste migliaia di istituzioni ad impiegare quel diversificato capitale umano per rilanciarle? Come retribuire migliaia di lavoratori, al momento cassaintegrati, senza i proventi dei biglietti di turisti internazionali? Come sostenere i poli museali che finora si sono basati sul turismo di massa, come uscire dall'assistenzialismo dei musei più piccoli, come evitare che il precariato di questo variegato universo non rischi di diventare endemico? Certo si può defiscalizzare tutta l’attività dei musei e rendere ancora più conveniente con la fiscalità di vantaggio il contributo alla cultura di privati e imprese. Ma basterà?

Un piano strategico pluriennale ora è necessario, poiché mentre siamo bombardati da notizie buone legate al web e alle riaperture – con la richiesta diffusa di un prolungamento anche nei weekend, – ci sono anche quelle cattive come la chiusura per carenza di personale. È accaduto a Chieti, dove dietro il cartello con “chiuso temporaneamente per lavori” affisso da qualche giorno all'ingresso del Museo archeologico nazionale “La Civitella”, non vi è un blocco temporaneo. Il museo non riaprirà nemmeno con orari ridotti, a causa della mancanza di personale, lo scrive sui social la direttrice Adele Campanelli.

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