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Italia-Germania 4-3, la partita del secolo simbolo di una sfida infinita

di Dario Ceccarelli

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A sinistra la gioia di Gianni Rivera, autore del gol del 4-3, e Gigi Riva. A destra il portiere tedesco Sepp Mayer si dispera per il gol subito (Ansa)

A sinistra la gioia di Gianni Rivera, autore del gol del 4-3, e Gigi Riva. A destra il portiere tedesco Sepp Mayer si dispera per il gol subito (Ansa)

La stupenda semifinale tra azzurri e tedeschi ai mondiali messicani sfida è qualcosa che travalica il calcio. Una sfida tra due opposti che ancora oggi - e probabilmente domani - si attraggono e si respingono all’infinito

16 giugno 2020
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7' di lettura

Quelli che la ricordano con più emozione sono tutti coloro che quel mercoledì 17 giugno 1970 fa erano bambini. Bambini che a quell'epoca - mezzo secolo fa - andavano a letto senza tante storie dopo l’ormai mitico Carosello, cioè verso le 21.30, ora canonica in cui le case degli italiani tornavano ad essere di dominio degli adulti. Un bacio alla, mamma, uno al papà e mi raccomando niente luce accesa sul comodino. Sei grande, ormai. Basta fare i capricci.

Un segno indelebile nella storia del calcio

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Invece, quella sera, perchè Italia-Germania 4-3 per via del fuso orario e dei tempi supplementari finirà ben dopo mezzanotte, ai piccoli viene concessa una licenza speciale: le scuole sono finite, si pensa già alle vacanze, e in quella semifinale con la Germania allo Stadio Atzeca di Città del Messico si avverte l’arrivo di un meteorite gigante che lascerà un segno indelebile nella storia del calcio.

Noi italiani siamo campioni d'Europa e i tedeschi vicecampioni del mondo, battuti nel 1966 dall'Inghilterra di Bobby Charlton, diventato poi baronetto per meriti sportivi. Ma già allora la sfida con la Germania è qualcosa di più, qualcosa che travalica il calcio. Una sfida tra due opposti che ancora oggi - e probabilmente domani - si attraggono e si respingono all'infinito. Uniti, metodici e compatti i tedeschi; individualisti, talentuosi ma all’apparenza neghittosi e difensivisti gli azzurri.

Quell'Italia-Germania, sia per il punteggio (insolito per quei tempi), sia per quella incredibile successione di colpi di scena, diventa il primo atto di una saga quasi omerica

Due parti in commedia, un format di successo anche in futuro. Solo che quell'Italia-Germania, sia per il punteggio (insolito per quei tempi), sia per quella incredibile successione di colpi di scena, diventa il primo atto di una saga quasi omerica. Non a caso nella targa che ancora oggi campeggia all'interno dello stadio Atezeca si rende omaggio alle squadre che furono protagoniste del “Partido del Siglo”, la partita del secolo.

Una rivoluzione anche per i commentatori

C'è un pizzico di esagerazione, e anche di retorica, diciamolo. Ma a ben guardare, visto quanto poi si è scritto (molti libri), detto, celebrato e dedicato (perfino un film di Andrea Barzini con Fabrizio Bentivoglio e Giuseppe Cederna) forse quella targa non è poi stata così visionaria.

Perfino un sobrio commentatore come Nando Martellini - che ha accompagnato la nazionale per 4 mondiali - quando l'Italia dopo l'ennesimo capovolgimento di scena mette a segno il gol della vittoria, perfino Martellini, uomo dai lunghi silenzi, va fuori giri e grida a squarciagola: “Rivera, rete! Rivera ancora, 4-3, 4-3 gol di Rivera! Che meravigliosa partita ascoltatori italiani! Non ringrazieremo mai i nostri giocatori per queste emozioni che ci offrono..”

Una rivoluzione. Pure Martellini, che come i telecronisti della sua generazione non alza mai la voce ( “l'Italia all'ottavo è passata in vantaggio sulla Germania grazie a un sinistro di Boninsegna…”), in quei fatidici tempi supplementari a sua insaputa si porta 30 anni avanti nei tempi e nello stile di conduzione. Stremato dalle emozioni, Martellini diventa uno di noi, allentando il suo rigido self control.

Tempi supplementari da cardiopalma

Ma anche lui ci impiega un po'. Quando i tedeschi pareggiano in extremis con Karl Heinz Schnellinger (quasi due minuti oltre il novantesimo), Martellini si limita a registrare il fatto con voce appena sconsolata, senza nemmeno un riferimento critico all'arbitro messicano Yamasaki che chissà perchè aveva concesso tutto quel recupero (adesso verrebbe messo allo spiedo).

È nei supplementari che Martellini (come anche gli azzurri) improvvisamente cambia registro. Dopo il secondo gol dei tedeschi (clamorosa papera di Poletti e Albertosi che favorisce quel demonio di Muller) il telecronista dà il primo segno di cedimento, facendo capire che, ormai, l’Italia è in ginocchio. Sotto di un gol, dopo essere stata a un passo dalla finale di Coppa del Mondo, è quello che pensano tutti. Addio, è finita. I panzer ci schiacciano. Sarà una mattanza… La fine del solito calcio all'Italiana. Molti non reggono più e spengono il televisore.

Quell’inaspettato gol di Burgnich

E invece, grazie a una clamorosa svista dei tedeschi (capita anche a loro!) che regalano a Tarcisio Burgnich il pallone del due a due, tutto si rimette in gioco. In effetti sta accadendo qualcosa di storico e di magico insieme. Quando mai l'“ostico” Burgnich, friulano ancora più silenzioso di Zoff, avrebbe mai solo pensato di inventarsi un gol? Eppure succede, segno che gli Dei del calcio ci sono favorevoli. Che qualcosa di enorme, mai avvenuto prima, sta accadendo.

E avviene pochi minuti dopo quando sta per finire il primo “tiempo extra”. Una frustata, la terza, che ribalta il pianeta, perchè il mondiale per la prima volta è trasmesso in mondo visione. La frustata, ormai un'icona mediatica, viene da Gigi Riva che, dopo un lancio di Domenghini, prima stoppa e controlla di esterno il pallone, e poi, dopo aver sbilanciato Schnellinger (ancora lui) lascia partire un sinistro diagonale che è una specie di colpo di biliardo: non forte, ma preciso, quasi lento ma inesorabile, che finendo nell'angolo opposto annichilisce Mayer, il portiere tedesco.

“Riva, Riva, Riva...”

Ecco, qui trattenersi è umanamente impossibile e Martellini da dottor Jakyll si trasforma in mister Hyde: “Riva, Riva, Riva, tiro… ed è gol di Riva! Riva ha segnato! 3-2 per l'Italia”. Il nome di Riva, ripetuto quasi all'infinito, diventa una formula magica, un mantra allucinogeno, con cui l'inconsapevole Martellini ci stordisce e ci stordirà nei secoli dei secoli.

Ma non è finita. Prima del quarto gol di Rivera (cui il sommo Gianni Brera diede in pagella uno striminzito 6-) c'è l'ultima caduta prima del trionfo finale. Al minuto 110 infatti il solito diabolico Gerd Muller riesce con una delle sue contorsioni a far passare il pallone tra il corpo di Rivera e il palo che lo stesso Rivera avrebbe dovuto difendere con più attenzione. Una mazzata, maledizione! Con Albertosi che ululala parole non certo di simpatia per Rivera, definito “abatino” da Brera. Ma gli Dei sono con noi e difatti non passa un minuto che l’Italia chiude il match. Il cross dalla sinistra viene da Boninsegna che, dopo aver saltato Schulz, fa arrivare il pallone sempre a Rivera che, in pratica, tira un rigore in movimento. Di piatto destro. Solo che lo tira proprio dalla parte opposta cui tutti pensano: compreso il portiere Mayer che, in contro tempo, si vede sfilare la sfera alla sua destra mentre lui si sta buttando sulla sinistra.

Un’eco enorme

E qui si chiude il cerchio della magia. Mentre Martellini cerca inutilmente di tornare alla normalità, l'Italia rientra nella realtà giocando quell'ultima manciata di minuti come meglio sa fare: cioè difendendo il vantaggio. L'arbitro questa volta non concede neppure un secondo in più. Anche lui ne ha abbastanza. E qui finisce la Partita del Secolo.

Scriverà Antonio Ghirelli: «L'eco dell'avvenimento fu enorme. Un banchiere italiano, che seguiva la partita per televisione a Montevideo, cadde fulminato da un infarto. In Italia oltre trenta milioni di appassionati rimasero incollati davanti al video, sebbene fosse mezzanotte passata. Molti andarono a coricarsi, sconsolati, quando Schnellinger aprì il fuoco nei tempi supplementari, ma alla rete di Burgnich un urlo lanciato in centinaia di case (...) e l'esito finale della pugna spinsero migliaia di appassionati nelle strade e nelle piazze..”.

Mezzo secolo dopo, fa un certo effetto rivederla in tv. È diversa, strana, come tutte le cose del passato che abbiamo ingrandito nella memoria. Intanto tutto è molto lento, con quei passaggi indietro che spezzettano il gioco e che oggi sarebbero insopportabili. I pantaloncini sono più corti, i capelli quasi tutti lunghi, ma non stravaganti. i modi di esultare incredibilmente più pacati. Ora chi segna sembra un allucinato che si fa inseguire dai compagni per tutto il campo. Guarda le telecamere, lancia gesti, minacce, oscure allusioni a chi non ha creduto in lui. All'epoca, anche nei momenti più concitati, ci si abbracciava qualche secondo, e poi si riprendeva subito. Anche quando i giocatori si infortunano c'era mano teatralità, meno sceneggiate. Il capitano della della Germania, Franz Beckebauer, detto il “Kaiser” per l'eleganza con cui si muove, dal secondo tempo gioca con in braccio al collo per una lussazione senza mai lamentarsi o farlo pesare.

Un altro calcio, un altro mondo

E dire che quel mondiale - per l'ultima volta denominato Coppa del Mondo Julies Rimet - aveva diverse novità, quasi rivoluzionarie: è il primo cui gli arbitri hanno due cartellini colorati da tirare fuori dal taschino: il giallo per l'ammonizione. Il rosso per l'espulsione. La possibilità di fare due sostituzioni per squadra. Poi la tv in mondovisione che permise di seguirla a centinaia di milioni di persone. E un nuovo pallone plastificato che sostituisce la vecchia sfera di cuoio scuro con le cuciture in evidenza. Quei palloni che pesavano quintali, e Dio sa come si riusciva a calciarli così lontano.

Tante cose sono cambiate. I ritmi, il tifo, gli schemi, l'abbigliamento degli allenatori (spesso in giacca e cravatta). Ma di Italia-Germania, dopo quel 4-3, è rimasto quel senso di spartiacque calcistico e non solo calcistico che dice tutto e a cui non bisogna aggiungere altro. Poi la Germania (ai mondiali in Spagna del 1982 e a quelli di Berlino 2006) l'abbiamo ancora battuta conquistando entrambe le volte il titolo mondiale. Cosa che invece nel 1970 (sconfitti poi in finale dal Brasile di Pelè per 4-1) non siamo riusciti a fare. Anzi, dopo la sconfitta coi carioca, gli azzurri furono investiti da valanghe di critiche e accolti a fischi e sberleffi. In questo, ecco, non c'è stata una grande mutazione. Oggi leoni e domani fannulloni miliardari è un refrain sempre attuale.

Per il resto, un calcio senza Var, senza mille inquadrature ravvicinate, senza mille replay, con arbitri meno preparati di adesso.
Meglio o peggio è difficile dirlo. Oggi il calcio è molto più spettacolare, rapido, fisico. Ci sono stati gli olandesi con il loro calcio totale. Noi siamo passati dal “catenaccio” al gioco a zona di Sacchi e dei suoi emuli. Allora, anche in quell'Italia-Germania, perfino le prodezze sembrano fatte al rallentatore, come se qualcuno in regia concedesse quel tempo sospeso dove tutto puoi fare e tutto inventare.

Anche il giornalismo sportivo era molto diverso. Più aulico, meno tecnico, spesso retorico. Anche allora c'erano bravi e cattivi maestri. Lo stesso Gianni Brera, che all'epoca dettava la linea, poteva permettersi giudizi che, in questa nostra epoca dell'immagine eternamente ripetuta, sarebbero facilmente criticabili. Anche nel giornalismo sportivo c'erano i partiti. Pro e contro quel tecnico, pro e contro quel giocatore.

Quella più memorabile è la polemica sull'eterna staffetta tra Rivera e Mazzola che arrivò al paradosso nella finale col Brasile quando Rivera, a sei minuti dalla fine, a partita ampiamente persa, fu concesso di entrare per godersi… la sconfitta. Un teatrino dell'assurdo, inventato dal tecnico Valcareggi per non scontentare nessuno che, invece, fini per scontentare tutti.

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