di Giulio Peroni
(ANSA)
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Non sbraita, non gesticola, nemmeno più esulta. Sempre diplomatico, controllato in panchina. Le sue parole scivolano nel politically correct, nel buon senso oggettivo. Sembra un allenatore qualunque Antonio Conte: non è più lui. Non assomiglia più a se stesso. Un grande problema. Il vero problema esistenziale dell'Inter che non vince. Che prende valanghe di reti. Che ha ridotto il proprio calcio timido, lento e disorganizzato, in un monologo dell'instancabile Lukaku. L'Inter “gruppo”' che non fa più paura agli avversari, l'Inter “società”' che non aveva messo in conto la metamorfosi del tecnico.
Un inizio tanto claudicante. L'esegesi è da ricercare nel mutamento dell'allenatore pugliese, che pare aver smarrito il proprio karma. Più o meno volontariamente. La conseguenza è che senza un robusto intervento- shock la squadra nerazzurra sembra inesorabilmente avviata verso una stagione sotto tono. Per ora è scivolata nella stanzialità dell'incertezza. Nel limbo del non sapere. Allontanata dalle sicurezze scolpite nel marmo da Conte nella sua prima stagione interista. Buona, redditiva. E soprattutto propedeutica. Un secondo posto in campionato, una finale di Europa League. Il mister aveva avviato l'idea fantasiosa e non utopica di un percorso. Che fino a ieri il gruppo riconosceva. E trovava nella faccia entusiasta e determinata del tecnico. Valori essenziali la resilienza, la compattezza nella battaglia. Per Antonio più importanti del gioco, delle lacune, della bellezza.
Oggi la squadra vivacchia, si confonde nel neo-relativismo del suo tecnico. Nel realismo (per lui) forzato ed innaturale che sta inevitabilmente deviando il corso della storia. A scapito della dimensione del successo, della magia.
Conte ha smesso di amare l'Inter. Se la fa andare bene. Come una moglie non innamorata (ed infelice) che sposa un uomo ricco ed affidabile che non le fa battere il cuore. Voleva separarsi il Nostro, lo ha strombazzato in una notte d'estate. Alla dirigenza idealmente e non concretamente poteva anche andare bene. La finale persa il 21 agosto con il Siviglia, il summit a Villa Bellini (Somma Lombardo) una settimana dopo. Quando le due parti, allenatore e società, si sono trovate una di fronte all'altra. Senza più scintilla. Quella che fa crescere, superare gli ostacoli. Uno status simmetrico alle vittorie. Ma ad entrambi conveniva (economicamente) non dirsi addio.
Da anni il club nerazzurro ha a libro paga due allenatori. Conte guadagna 12 milioni netto all'anno, oltre il doppio del secondo allenatore più stipendiato della serie A (Fonseca, Roma). Una buona uscita sarebbe stata un eccesso, un inopportuno extra budget. E l'allenatore ne sarebbe uscito per la prima volta da perdente. Da mal sopportato. Il divorzio non si è dunque consumato, non poteva farsi. L'amore è rimasto un ricordo. Forse una speranza. Intanto la proprietà nerazzurra si trova in casa un allenatore pagato oro per dare un valore aggiunto. Quello della follia, del vincere, del mettere il cuore oltre l'ostacolo. Quello delle urla in campo. Possibilmente più diplomatico ed aziendalista davanti ai microfoni.
A Conte si chiedeva e si chiede facce spiritate, non da fotografo. Come quelle attuali. Gli viene chiesto spirito di adattamento. Nell'era del Covid, del mercato low cost. Dove quasi nessuno in Europa ha speso, Chelsea e City a parte. Dove il punto primo, per tutti i club, anche i più grandi, è di fare necessità virtù. L'Inter ha fatto una campagna acquisti buona (Hakimi- Vidal- Kolarov- Darmian) e monca. Servivano un laterale sinistro, un altro centrocampista forte e carismatico. Non sono arrivati. Ma nessuna squadra si è completata. In questo esercizio di rielaborazione dei tempi, Antonio non si è adattato. Al posto che riaffermarsi, si è spento. Insiste con la difesa a tre anche senza la disponibilità degli uomini adatti, forse non digerisce certi giocatori indesiderati e di ritorno (Perisic e Nainggolan).
Non può bastare. Conte che non è più Conte. Disorientamento per la squadra, per il club. L'inizio è una sconfitta nel derby, un pari e due vittorie in campionato. Esordio in Champions con pareggio impalpabile e deludente contro una non irresistibile squadra tedesca. Sempre assente l'idea di gioco. Assenti però ingiustificabili, voglia, agonismo, spirito comune. Non è sufficiente l'alibi degli infortuni e dei (tanti) positivi al Covid. Che pure hanno un peso. Antonio ha forse travisato il concetto-base promosso a fine agosto dallo staff dirigenziale, Steven Zhang in primis: nessun obbligo di successo, obbligo a crederci e, visto l'organico, certezza a fare meglio. A Conte questi contenuti non bastano. Non sono abbastanza performanti. Ma sono sufficienti a mutarne il karma. A rendere normale l'allenatore più pagato della serie A .
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