di Bianca Lucia Mazzei
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La pandemia ha reso più difficile la redazione dei testamenti biologici o biotestamenti e cioè dei documenti - il termine esatto è disposizioni anticipate di trattamento (Dat) - che indicano le cure e i trattamenti sanitari cui non si vuole (o si vuole) essere sottoposti nel caso in cui ci si trovi nell'impossibilità di esprimere la propria volontà. Da febbraio 2020 a fine anno ne sono stati depositati 11.096 contro gli oltre 145.000 redatti nei 24 mesi precedenti, ossia a partire dal 31 gennaio 2018, giorno di entrata in vigore della legge 219/2017 che ha introdotto il testamento biologico.
In totale gli italiani che hanno messo a punto e depositato un biotestamento sono 156.799. Ancora pochi, ma comunque di più di quelli “stimati” in base ai dati parziali elaborati fino ad oggi. Il primo censimento completo (aggiornato al 15 dicembre 2020) è stato fornito al Sole 24 Ore del Lunedì dal ministero della sanità sulla base delle informazioni contenute nella Banca nazionale delle Dat che opera presso il ministero e ha il compito di raccogliere copia di tutte le disposizioni anticipate, aggiornarle e renderle accessibili alla consultazione da parte dei medici, di chi ha redatto il biotestamento o delle eventuali persone di fiducia (i “fiduciari”) designate per assicurarne il rispetto.
Varata fra aspre polemiche, sulla scia dei casi di Eluana Englaro e Welby che avevano scosso il Paese, la legge 219, dopo più di tre anni, è ancora conosciuta poco e male. Le contrapposizioni ideologiche si sono attenuate ma viene ancora erroneamente associata all’eutanasia o al suicidio assistito. «Ciò che mi preoccupa di più - dice Barbara Rizzi, medico palliativista e direttore scientifico di Vidas, associazione che offre assistenza gratuita ai malati terminali - non è il numero limitato di biotestamenti ma la scarsa e superficiale conoscenza della legge. Anche chi ne ha sentito parlare spesso ha idee confuse o del tutto sbagliate». Secondo un’indagine effettuata da Vidas, a fine 2019, solo il 19% degli intervistati conosceva nel dettaglio la normativa mentre il 28% non ne aveva mai sentito parlare.
Poi è arrivata la pandemia che ha reso consueti termini e immagini relativi ai trattamenti sanitari invasivi (intubazione, ventilazione assistita), ma ha anche aumentato le distanze sociali, ostacolato i contatti, rendendo ancor più difficile la redazione dei biotestamenti.
«Il 2020 è stato un anno molto complicato - continua Barbara Rizzi - . È vero che è aumentata la percezione e soprattutto la paura di trovarsi all’improvviso ad affrontare cure cui non si era mai pensato ma poi, nel concreto, tutto è diventato più complicato, dall’acquisire informazioni al fissare gli appuntamenti».
Mettere a punto un biotestamento è comunque un’operazione complessa. Decidere ora per allora non è semplice, soprattutto quando ci si deve confrontare con il tema della morte, e non in modo astratto e universale ma concreto e individuale. «Per questo è importante ricordare che è sempre possibile modificare o revocare un biotestamento - spiega Roberto Monaco, segretario della Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri - perché, le valutazioni e i significati che si danno alla vita e alla sofferenza cambiano nel tempo». «Non dimentichiamoci però della legge sulle cure palliative - aggiunge Monaco - che, nonostante risalga al 2010, non è ancora sempre applicata».
Passaggio fondamentale, nella redazione di un biotestamento, è il confronto con un medico che aiuti ad esplicitare le proprie scelte e a comprenderne bene le conseguenze. In caso di patologie croniche e invalidanti o caratterizzate «da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta» la legge 219 parla inoltre di pianificazione condivisa delle cure.
«Bisogna distinguere - spiega Luigi Riccioni, responsabile del comitato etico della Società italiana degli anestesisti -rianimatori (Siaarti) -fra le Dat espresse da persone in buona salute da quelle predisposte da soggetti con malattie croniche. Nel secondo caso è importantissimo che il paziente pianifichi, insieme al medico, il suo futuro e le cure a cui vorrebbe (o non vorrebbe) essere sottoposto».
L’obiettivo di questa programmazione è aiutare le persone a identificare i propri valori, confrontarsi con temi complessi come il senso della vita e del dolore al fine di definire, anche insieme ai propri familiari, i trattamenti sanitari futuri. «Non sono questioni che si possono affrontare all’ultimo minuto - continua Riccioni -. Bisogna estendere la prassi che si è ormai consolidata nella Sla (Sclerosi laterale amiotrofica): il medico informa il paziente dell’evoluzione della malattia e gli permette di scegliere in anticipo fra i trattamenti invasivi o un percorso di cure palliative. La pianificazione aiuterà il paziente a comprendere come vivere serenamente la parte finale della propria esistenza e il biotestamento garantirà il rispetto della sua volontà».
«È possibile affrontare il fine vita con serenità - aggiunge Rizzi - e il biotestamento può essere anche uno strumento di dialogo con i propri cari che li aiuta a far fronte a scelte molto difficili».
Bianca Lucia Mazzei
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