di Serena Uccello
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Avrebbe dovuto essere l'anno dei festeggiamenti: sarà invece il momento in cui guardare a quello che è stato costruito e pensare che, comunque sia, la bellezza è sempre un buon punto di partenza anzi di ripartenza. Il 5 marzo del 1990 nasceva infatti il Consorzio Franciacorta. Trent'anni: si ricomincia dal trentennale, con l'obiettivo di farli come si deve questi festeggiamenti. Perché, va bene la virtualità, ma, in questo caso, fino a certo punto. Ci siamo adattati, d'accordo, ma è solo una parentesi e gustare, vedere, annusare sono esperienze vive e reali. Uno dice “Franciacorta” e pensa al gusto e alla vista; uno dice “Franciacorta” e pensa al benessere di una cena o al godimento di un paesaggio. Uno dice Franciacorta e pensa all'Italia, quell'Italia che oggi sta permettendo alle 118 cantine associate al Consorzio di ammortizzare il colpo del Covid e di chiudere l'anno (certo sempre con il segno meno) riducendo però la perdita a una contrazione tra il 25 e il 30 per cento.
Male, certamente, ma non malissimo: se il mercato italiano in queste ultime settimane non si fosse ripreso, come racconta il presidente del Consorzio Silvano Brescianini, per questi produttori il 2020 poteva essere davvero un annus horribilis. Lo sarà, per le vittime e la malattia, che qui, in questa parte di Lombardia che sfiora il Lago d'Iseo e abbraccia diciannove comuni – duecento chilometri di colline cesellate dai ghiacciai che si sono ritirati 10mila anni fa – è stata devastante.
«Io faccio il viticoltore e per natura sono ottimista – spiega Brescianini - però se penso che a marzo anch'io mi sono ammalato e che in quei giorni ero terrorizzato all'idea di finire in ospedale e invece oggi, mentre ci parliamo, sono in macchina e sto andando a Forte dei Marmi per lavoro, dico che ottimisti dobbiamo esserlo per forza. La ripartenza nelle grandi città è più lenta, ma nel resto del Paese l'accoglienza ha ricominciato a lavorare, la gente sta uscendo».
Questo permetterà alle aziende di resistere (il mercato interno rappresenta infatti l'88,7 per cento del venduto in termini di volumi), nonostante fuori dall'Italia, soprattutto in quei mercati di riferimento per le esportazioni - tra tutti gli Stati Uniti che valgono il 12 per cento sul totale dell'export - la situazione continui ad essere critica.
«Gli errori dell'America sono evidenti, ma sono sicuro che, se pur in ritardo, troveranno anche loro la strada per uscire da questa crisi. A New York, ad esempio, i numeri stanno calando mentre la situazione comincia a essere difficile in quegli Stati come la California, il Texas, la Florida che finora non hanno applicato interventi per combattere il virus. Per quanto ci riguarda, il lato positivo è che abbiamo un prodotto che, se sta qualche mese in più in cantina, non deperisce, anzi migliora. E’ chiaro però che se manca il fatturato le aziende vanno in stress finanziario. Poi, nel caso del mercato Usa mi preoccupa il fatto che le aziende americane che importano siano già state messe in difficoltà dai dazi che Trump ha voluto per i vini francesi. Si tratta infatti delle stesse aziende che importano i nostri vini. Sono quindi imprese già provate, con i magazzini pieni di scorte: rischiano di collassare. E se accadesse, questo avrebbe su di noi conseguenze pesanti: negli Stati Uniti ci vuol niente a ricorrere al Chapter Level che vuol dire debiti dimezzati pur di salvare la società. Faccio un esempio: se io ho avanzo crediti per cento, se va bene, porto a casa cinquanta».
L'attuale bilancio registra oltre diciassette milioni le bottiglie vendute finora, per la precisione 17,6 milioni, grazie anche a una strategia di marketing che punta sulla fusione dell'identità, sul trasferimento di una esperienza di immersione totale. «Perché – aggiunge Brescianini - c'è il Franciacorta vino e la Franciacorta territorio e noi cerchiamo di comunicarli e farli conoscere entrambi».
Il paesaggio appunto che rafforza il gusto, l'identità di chi produce che diventa anche identità del prodotto. La presenza della storia di un territorio che diventa immaginario per identificare una cultura. «Questo è stato possibile grazie al fatto che finora i nostri buyer, i sommelier, i divulgatori venivano qui a conoscerci».
A guardare l'agenda delle iniziative predisposte in questi anni, sono decine i progetti che hanno coinvolto il territorio e gli eno-appassionati. In testa il Festival in Cantina e il Summer Festival, entrambi eventi durante i quali la Franciacorta si racconta attraverso i suoi protagonisti. E poi i Festival itineranti, dopo anni di successi sono approdati anche all'estero, facendo tappa in alcune città come Zurigo, Monaco, Londra, Vienna, Tokyo e New York.
E ora che questo non è possibile? «Stiamo facendo ricorso alla virtualità, ci siamo organizzati in questo modo per gli eventi: spediamo le nostre bottiglie e poi ci troviamo virtualmente per degustarle, parlarne. Capirà che non è la stessa cosa...». No, che non è la stessa cosa. E però è un modo per reagire. Pensando ai due mesi di inizio anno cresciuti a doppia cifra, e confidando sul fatto che quindi quei risultati, come sono stati raggiunti una volta, possono tornare. Pensando che prima della crisi il tasso di crescita dell'export era cresciuto del 2,7 per cento, un dato che può ripartire perché - fatta eccezione per gli Stati Uniti - sono i paesi europei, in testa Svizzera e Germania, i luoghi del mondo che più si sono innamorati di queste bollicine. Tutte aree che, per quanto navigando a vista, stanno provando a uscire dall'emergenza.
Serena Uccello
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