di Andrea Biondi
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Durante il lockdown 11,8 milioni di famiglie (il 48,6%) hanno svolto almeno un’attività online, che si tratti di smartworking, acquisti online o comunicazione a distanza. E per 8,2 milioni di queste era la prima volta.
Nel Rapporto Auditel Censis presentato ieri c’è chiara la testimonianza di quanto la pandemia da coronavirus abbia fatto da acceleratore di innovazione. Il Covid 19 però – e qui sta l’altra faccia della medaglia – oltre a essere stato uno stress test per il sistema digitale e delle comunicazioni che «nel complesso hanno dato prova di saper reagire alla situazione eccezionale», ha rappresentato anche un formidabile catalizzatore di deficit e disuguaglianze «già esistenti» che rischiano di «esacerbarsi nel prossimo futuro». A scrivere queste parole è stata l’Agcom, a inizio luglio, richiamando l’attenzione su una ferita aperta e che brucia come non mai: durante l’emergenza Covid «il 12,7% degli studenti italiani non ha usufruito della didattica a distanza, dati inaccettabili per una democrazia evoluta».
Tema ricorrente quello del ritardo digitale dell’Italia. L’indice Desi della Ue lo ricorda ogni anno. Nel 2019 (ultimo dato disponibile) il Paese era 25esimo su 28 (compreso il Regno Unito). «L’Italia – si legge nel Rapporto Ue – è molto avanti sul fronte del 5G (terza in Europa, ndr.), ma è in ritardo in termini di diffusione delle reti ad altissima capacità (Vhcn). I risultati conseguiti dal Paese sono limitati per quanto riguarda le competenze digitali e la digitalizzazione delle imprese, così come resta modesto l’uso dei servizi pubblici digitali».
Sulla connettività l’Italia è 17esima. E alla voce “Copertura della banda larga veloce (NGA)” il Paese (i dati si riferiscono al 2019) fa meglio della media Ue – 89% di famiglie coperte contro l’86% - collocandosi in 14esima posizione. Il problema sorge quando si passa alla banda larga ultraveloce: le coperture in grado di garantire velocità superiori ai 100 Megabit al secondo in download (rispetto ai 30 Mbps della banda ultralarga o ai 2 Mbps della “banda larga”). Sopra i 100 Mbps (e fino a 1 Giga) le connessioni coprono il 30% degli italiani, contro il 44% della media Ue. E qui si arriva al nodo visto che è sulle connessioni di migliore qualità che si gioca il futuro digitale del Paese, in un contesto, peraltro, in cui l’Europa i suoi obiettivi li ha posti: per il 2025 la connettività di almeno 1 Gbps per scuole, biblioteche e uffici pubblici; di almeno 100 Mbps, aumentabile a Gigabit, per tutte le famiglie europee; copertura 5G ininterrotta in tutte le aree urbane e lungo i principali assi di trasporto.
Dal punto di vista infrastrutturale, in Italia occorrerà attendere il 2023 per avere tutta l’Italia cablata in fibra visto che è allora che Open Fiber completerà il rollout della rete (Ftth a 1 Giga) nelle “aree bianche”. Una conclusione ritardata di tre anni rispetto al target iniziale del 2020 stabilito con i bandi Infratel. Ma, come replicato spesso da Open Fiber, il Piano, causa ricorsi, è iniziato in ritardo. «Nelle aree bianche contiamo di completare con la concessionaria Open Fiber mille comuni entro il 2020. Ancora poco, a fronte dei 7mila a piano, ma è un primo segnale di accelerazione», ha detto nei giorni scorsi l’ad di Infratel (la società del Mise incaricata di verificare l’avanzamento del progetto) Marco Bellezza. Intanto, ha aggiunto, «stiamo lanciando il bando per portare la connettività nelle scuole e siamo nel processo di realizzazione della prima fase dei voucher per la connettività», progetti che «porteremo avanti nei prossimi mesi».
Il riferimento è al Piano scuola e a quello sui voucher per la banda ultralarga alle famiglie a basso reddito (Isee sotto i 20mila euro). Per queste è prevista una dote di 200 milioni in bonus massimi di 500 euro come sconto sul prezzo degli abbonamenti ultrabbroadband (almeno 30 Mbps) oltre che per modem e tablet o pc. Quanto alle scuole, la gara per la fornitura ultrabroadband (regioni in 7 lotti) a 1 Gbps in 32mila istituti, con una dote di 400 milioni, è stata pubblicata ieri sul sito Infratel.
In questo quadro ora si inizia a guardare a quel che c’è oltre la porta, con i miliardi del Recovery plan. Sei le linee guida di intervento indicate dal Governo: “Power up” (tecnologie pulite e sviluppo delle energie rinnovabili); “Renovate” (efficienza energetica degli edifici pubblici e privati); “Recharge and Refuel” (sistemi di trasporto sostenibili, accessibili e intelligenti); “Connect” (servizi veloci a banda larga a tutte le regioni e a tutte le famiglie, comprese le reti in fibra ottica e 5G); “Modernize” (digitalizzare Pa, sistemi giudiziari e sanitari); “Scale-up” (capacità di cloud industriale europeo di dati); “Reskill and upskill” (competenze digitali). «All’obiettivo della digitalizzazione, dell’innovazione e della competitività del sistema produttivo sarà dedicato almeno il 20% delle risorse del Piano», ha ricordato il premier Giuseppe Conte una settimana fa in Senato, aggiungendo che «oltre a rilanciare e raffinare le misure già vigenti, come il pacchetto “Transizione 4.0”, particolare attenzione sarà rivolta al fondamentale incremento delle competenze digitali, sia della Pa, sia del mondo produttivo, e agli investimenti volti a colmare i divari digitali in ancora molte aree del Paese».
Andrea Biondi
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