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NoLo, Milano: la leva del marketing territoriale è la comunità social

di Dario Aquaro

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13 luglio 2018
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4' di lettura

Quando il nome è risuonato la prima volta tra i drink di New York, quella fetta di Milano che si allarga a nord di piazzale Loreto ignorava ancora l’onda mediatica e social(e) che l’avrebbe rimescolata. NoLo. L’acronimo che disegna nuovi confini e fa brand il quartiere, come Soho, come Tribeca, come… North of Loreto, appunto. Per carità: qualcosa già si muoveva nella zona iniziale di viale Monza e dintorni, con estremi via Padova, viale Brianza e i binari ferroviari.

Quel nome nato a Brooklyn
«Artisti, professionisti e giovani abitanti: è stato quel primo fermento a ispirarci», racconta Francesco Cavalli, fondatore e direttore creativo di LeftLoft, studio di design e marketing con sede a Milano e New York. «L’idea di NoLo è sbocciata negli Stati Uniti, circa cinque anni fa. Ero al Brooklyn Social bar con Luisa Milani e Walter Molteni, grafici dello studio La Tigre, scherzando tra un bicchiere e l’altro sulla possibilità di creare un brand di quartiere, un contenitore “adatto” alla trasformazione. A conti fatti – sottolinea il noler Cavalli – s’è rivelata un’operazione di branding a costo zero, realizzata con il passaparola, abbiamo cominciato a usare questo nome, che ha preso a circolare».

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Il contenitore cool è decollato nel giro di un paio d’anni, la palla di neve s’è fatta valanga, e adesso online campeggia anche un logo: un capodoglio. «Quello non l’avrei fatto, perché credo molto nell’identità del posto. Bilbao non la ricordi per il suo logo, ma per il Guggenheim», dice Cavalli, che di design e rebranding se ne intende (Moleskine, Mondadori, l’Inter, tanto per citare alcuni clienti).

La profezia del “nuovo quartiere” ha cominciato ad avverarsi complici i media bramosi di storie della città-che-cambia. Spazi innovativi di qua, mix culturale di là: ed è subito hipsteria. Non pareva forse vero d’aver trovato anche un NoMe titolabile e pronto all’uso.

L’onda della social street
Anzi, oggi c’è pure un “sindaco”: Daniele Dodaro. In queste strade dove tutti sembrano conoscersi, lo salutano proprio così: ciao sindaco. Lui, che per professione si occupa di marketing e ricerche di mercato, è uno dei fondatori (e dei due amministratori) del NoLo Social District, nato nel 2016 dalla fusione di tre social street (Via Padova, gli Amici di Pasteur e NoLo Social street). Premio di «Migliore social street» ai Milan Storytelling Awards, gli “ambrogini della gente comune”, il gruppo conta oggi su Facebook quasi 6mila utenti registrati e circa 1.500 richieste in attesa (sei fuori dalla cerchia? sorry, sei out of NoLo).

Per aprire la pagina Facebook, Dodaro ha quindi sfruttato un nome che era già sulla bocca dei suoi amici. «Ma i grandi racconti di colore su NoLo non combaciavano con la realtà, che restituiva cronache di degrado e delinquenza (che ancora non mancano, ndr). Da quando c’è la social street – dice Dodaro – è aumentata la riconoscibilità esterna e le cose sono migliorate. Le vie e le piazze vengono vissute dagli abitanti anche la sera, e non c’è più l’esigenza di andare in centro per divertirsi».

Tra Berlino e la piazza del paese
Accanto a centri massaggi cinesi, kebabbari e pollerie sudamericane, a NoLo si trovano negozi hipster, gallerie d’arte, coworking, studi di design e videomaker. E nel frattempo si organizzano cinema e concerti nei cortili, corse lungo il naviglio della Martesana, colazioni di quartiere, cruciverboni, cene in bianco. Comunità ristretta e multiculturalità: un po’ voglia di borgo, un po’ voglia di Kreuzberg, Berlino. C’è RadioNolo e persino il festival di SanNolo (bye bye Sanremo), già due edizioni alle spalle e in giuria un noler d’eccezione come Graziano Ostuni, manager della Universal Music.

Il logo del distretto, il capodoglio, si ispira a un murale che è stato cancellato, perché «NoLo non esiste», provocano i residenti. E invece NoLo è ormai un toponimo (chiedi e la mappa di Google ti risponderà). Mentre in città aleggia il sospetto che si tratti di un’operazione di marketing territoriale calata dall’alto, una trama ordita dagli immobiliaristi sullo stile di tanti quartieri americani e no, sono in realtà le piccole agenzie e i piccoli esercizi a cavalcare il fenomeno NoLo. E tanti vogliono trasferirsi qui attratti dall’eco e dai riflessi del luogo e delle sue nuove relazioni interne.

Aspettando il restyling urbanistico
«È un processo partito dal basso», spiega la noler Ileana Indolfi, che lavora per una grande banca (settore real estate) ed è una delle responsabili del gruppo social. «Ma manca ancora un piano urbanistico serio per l’area, e la spinta potrebbe arrivare dal restyling degli ex Magazzini Raccordati, in mano a Grandi Stazioni. Un segnale, intanto, l’ha lanciato Alcova, l’ex fabbrica di panettoni che è stata location del Fuorisalone».

Il prezzo delle case resta basso in confronto agli standard milanesi: 2.776 euro al metro quadrato, secondo Immobiliare.it. Rispetto al 2015 è salito dello 0,8%; mentre il costo della locazione è balzato dell’8,5%: offerta in calo a fronte di una domanda crescente (per un bilocale di 60 metri quadrati servono in media 873 euro). «Speriamo che gli immobili si rivalutino presto» è l’auspicio dei nuovi proprietari, che aspettano la definitiva ribalta.

A New York in principio fu Soho (1968), vennero quindi Noho, Tribeca, Dumbo e via dicendo. Gli abitanti di South Bronx, alla fine degli anni 80, si opposero invece all’uso capzioso di “Sobro”. A nord di piazzale Loreto, Milano, non c’è alcun comitato Nimby. E il brand NoLo ha già una coda di epigoni: da SoS (South of Sesto) in su. O in giù.

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