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“Crimes of the Future”, una performance audiovisiva firmata David Cronenberg

di Andrea Chimento

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Nelle sale il nuovo lungometraggio del grande regista canadese. Tra le novità anche “Rimini” di Ulrich Seidl

26 agosto 2022
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3' di lettura

Un weekend all'insegna del cinema d'autore: dopo diverse settimane povere di pellicole firmate da nomi importanti (fatta eccezione per “Nope” di Jordan Peele), da giovedì arrivano in sala alcune novità che invertono decisamente la rotta.

In primis, non si può che partire da uno dei registi più significativi degli ultimi cinquant'anni: David Cronenberg, protagonista al cinema con il suo nuovo film “Crimes of the Future”.

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Otto anni dopo “Maps to the Stars”, il grande autore è tornato dietro la macchina da presa per un lungometraggio che s’intitola come uno dei suoi primissimi lavori, datato 1970, senza però esserne un remake.

Ambientato in un futuro non troppo lontano, “Crimes of the Future” mostra un’umanità che sta imparando ad adattarsi a un ambiente sintetico e a una serie di mutazioni e metamorfosi che alterano la loro stessa composizione biologica. Tra questi c'è Saul Tenser, un noto artista performativo, che ha abbracciato a pieno questa nuova situazione, mostrando pubblicamente in alcune esibizioni i cambiamenti che avvengono negli organi interni del suo corpo.

Basta qualche riga di trama per cogliere quanto per Cronenberg “Crimes of the Future” sia un ritorno a quella poetica sul rapporto tra il corpo e la tecnologia che è stata centrale in diversi suoi capolavori del passato: da “Videodrome” a “eXistenZ”, passando per “La mosca”, sono diversi i film che tornano in mente guardando questo body-horror che non fa sconti allo spettatore fin dalla notevole, sequenza iniziale.

“Crimes of the Future” e gli altri film della settimana

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Rimini
Rimini
Crimes of the future
Crimes of the future

Un film di profonda attualità

Se molti elementi formali e contenutistici possono rimandare al passato del cinema di Cronenberg, c'è fin da subito in “Crimes of the Future” un ragionamento di profonda attualità attorno al tema dei rifiuti e dei consumi, accompagnato da una serie di sequenze performative di grande suggestione.

Ci sono riferimenti a diversi body artist, come Stelarc e Orlan, in questo film colto e ricco di spunti interpretativi di varia natura: le letture attorno a questo lungometraggio possono essere numerose, anche per le scenografie utilizzate e i giochi estetici valorizzati da una bella fotografia e da una colonna sonora suggestiva.

Coinvolgente nella prima parte, il film purtroppo si perde un po’ col passare dei minuti, a causa di una serie di scene eccessivamente verbose e di personaggi di contorno ben poco rilevanti, ma resta comunque uno dei titoli imperdibili di questa stagione e tra i più ricchi di elementi simbolici su cui ragionare.

Rimini

Tra le novità in sala c'è anche “Rimini”, il nuovo lavoro di Ulrich Seidl, tornato al cinema di finzione a nove anni di distanza da “Paradise: Hope”.

Al centro della narrazione c’è Richie Bravo, un cantante austriaco che vive a Rimini, esibendosi nelle case di riposo e in club di second’ordine per il suo pubblico, formato da persone anziane di lingua tedesca. Dopo essere tornato a casa per il funerale della madre, Richie rientra a Rimini e riprende la sua esistenza squallida, fino all’arrivo di sua figlia, che non vede da moltissimo tempo.

Da sempre autore di un cinema che va a scavare negli aspetti più squallidi e cinici dell'animo umano, Seidl non si smentisce firmando una pellicola sulla decadenza e le brutture a cui può arrivare un uomo come il suo protagonista: inizialmente interessante e capace di scuotere, il film diventa ridondante col passare dei minuti e vittima dello sguardo troppo voyeuristico di Seidl che allunga inutilmente diverse sequenze che potevano risultare più efficaci se rese in maniera più essenziale.

Prima parte di un progetto più ampio, “Rimini” risulta incisivo solo a tratti, nonostante abbia dalla sua l'ottima prova di Michael Thomas nei panni di Richie Bravo e alcuni passaggi senza dubbio degni di nota: è il disegno complessivo a lasciare molti dubbi, così come la maggior parte delle altre pellicole di un regista di talento, sicuramente capace di risultare scomodo e controverso, ma allo stesso tempo autore di un cinema autocompiaciuto e spesso altrettanto sterile.

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