di Michele Pignatelli
Il premier svedese Stefan Lofven
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C’è anche la carenza di case – in particolare il problema degli affitti – alla base delle dimissioni annunciate domenica dal premier svedese Stefan Löfven, che a novembre lascerà la guida del Partito socialdemocratico e, dopo sette anni, del Paese.
A giugno infatti il primo ministro era stato sfiduciato dal Parlamento per un piano di parziale liberalizzazione del mercato degli affitti che aveva tolto al suo governo di minoranza (Socialdemocratici e Verdi) l’appoggio esterno della Sinistra; a luglio era tornato in sella, di fatto per la mancanza di un’alternativa, visto che il leader dei Moderati, principale forza di opposizione, non era riuscito a forgiare una coalizione con un numero di voti sufficienti a dar vita a un nuovo governo.
Domenica è arrivato però l’annuncio dell’ex sindacalista: «Nella campagna elettorale del prossimo anno (in Svezia le elezioni politiche sono in programma a settembre del 2022, ndr) – ha detto Löfven – i Socialdemocratici saranno guidati da qualcun altro». «Tutto finisce e voglio mettere il mio successore nelle condizioni migliori», ha aggiunto, precisando che si dimetterà al Congresso del partito a novembre.
Alla base della decisione di Löfven c’è con tutta la probabilità la presa d’atto che una stagione si è conclusa; i Socialdemocratici hanno dominato la politica svedese per generazioni, ma il sostegno nei loro confronti (come per molti partiti europei di centrosinistra) si è progressivamente ridotto, costringendo il premier a cercare difficili compromessi per portare avanti il mandato.
Nel Paese scandinavo poi, la crescita dei Democratici svedesi, partito populista di destra anti-immigrazione finora tenuto fuori dalla stanza dei bottoni, ha reso quasi impossibile formare maggioranze di governo. Il successore di Löfven (o la sua erede: tra i nomi più quotati ci sono quello dell’attuale ministra delle Finanze Magdalena Andersson e quello della titolare della Salute, Lena Hallengren, che sarebbero – se confermate poi dal Parlamento – il primo premier donna in Svezia) non avrà perciò un compito facile, a cominciare dall’approvazione del budget.
Scenari politici a parte, rimane la questione immobiliare che vede la Svezia tra i Paesi che vivono una situazione particolarmente critica da almeno un decennio. C’è una cronica carenza di case, dovuta a un mix di complesse norme regolatorie, che rendono i costi di costruzione tra i più alti in Europa, agevolazioni sui mutui e bassi tassi di interesse, che hanno spinto le famiglie a indebitarsi e fatto impennare i prezzi delle compravendite.
Il problema si ripercuote però in maniera ancora più drammatica sul mercato degli affitti: basti pensare che, per ottenere una locazione, il tempo medio di attesa nel 2020 è di nove anni e il 70% delle amministrazioni locali denuncia una carenza di appartamenti. I critici lo imputano al fatto che, nelle grandi città, i canoni sono calmierati, vincolati cioè agli accordi tra le associazioni di proprietari e inquilini, e scoraggiano dunque la costruzione di case da affittare o l’affitto di proprietà vacanti.
Il governo Löfven, incalzato dai partiti di centrodestra che lo appoggiavano dall’esterno, aveva proposto di modificare in parte il sistema, lasciando alla negoziazione tra proprietario e inquilino la fissazione del canone degli appartamenti di nuova costruzione; gli effetti - era stata la rassicurazione - sarebbero stati limitati. La Sinistra però è insorta, additando la riforma come un attacco mortale al modello di welfare svedese, mentre le associazioni degli inquilini paventavano incrementi fino al 50% degli affitti se a determinarli fosse stato il mercato. La riforma si è così arenata.
Il nodo però rimane. All’erede di Löfven il compito di scioglierlo.
Michele Pignatelli
Caposervizio
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