di Jacopo Giliberto
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I rincari dell’energia avranno un contraccolpo davvero punitivo in ottobre quando verranno aggiornati contratti e tariffe. La colpa questa volta non è del solito petrolio: bisogna guardare come si è spostato l’asse del settore energetico, e in particolare le speculazioni internazionali sul metano e sulle emissioni Ets di anidride carbonica, il gas accusato di scaldare il clima.
Già nei mesi scorsi i rincari avevano colpito: l’Enea nell’Analisi trimestrale del sistema elettrico diffusa ieri ha rilevato che già nella prima metà dell’anno in Italia erano in forte aumento i consumi di energia, i costi e anche le emissioni di CO2, diventate carissime; inoltre già il 1° luglio le bollette di luce e gas avevano avuto un aumento consistente. Ma, in attesa che il Governo dispieghi le sue decisioni per mitigare i rincari, i numeri per l’autunno sono molto seri.
Prudenza massima, le previsioni sono fumose, le scelte del Governo possono piegare in meglio gli avvenimenti, meglio aspettare dopo il secondo capoverso dell’articolo prima di scriverne, ma gli economisti dell’energia sono molto allarmati: il 1° ottobre le bollette del gas potrebbero crescere oltre il 30%, quelle della corrente elettrica del +20%. Il ministro della Transizione Ecologica Cingolani ha addirittura anticipato un aumento del 40% della bolletta della luce.
Il 1° ottobre l’autorità dell’energia Arera aggiornerà come ogni tre mesi le tariffe di corrente elettrica e gas, avvicinandole ai costi di produzione e ai mercati internazionali. Nello stesso giorno partiranno i contratti annuali di fornitura ai grandi consumatori e alle imprese, poiché per convenzione l’anno termico contrattuale va dal 1° ottobre al 30 settembre.
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Si rafforza anche il prezzo dei carburanti, ma meno. In questo caso il ruolo della materia prima, il petrolio, rappresenta appena un terzo del prezzo finale, mentre i due terzi sono rappresentati dalle penalizzazioni fiscali. Alla rilevazione condotta il 6 settembre dal ministero dello Sviluppo economico, la benzina costa in media 1,65 euro al litro, di cui 62 centesimi di costo industriale e 1,03 euro di disincentivo fiscale, e il gasolio 1,50 euro al litro di cui 61 centesimi di costo industriale e 89 centesimi di fisco.
Le imprese sono molto preoccupate dei rincari. Tutte le imprese; sono preoccupati i grandi consumatori elettrici per i quali l’energia è una voce primaria di costo di produzione, come la chimica, la lavorazione dei metalli, l’industria cartaria, la produzione del vetro, la ceramica; preoccupate le imprese alimentari che hanno consumi di vapore oppure la panificazione nei forni; ma anche le imprese piccole e medie, gli artigiani, i supermercati e i negozi per i banchi surgelatori, le celle frigorifere, la climatizzazione e tutte le altre applicazioni della corrente elettrica e del gas.
Ma sono preoccupate anche le aziende energetiche. Molte di essere sono espostissime, diverse si approvvigionano a prezzo pieno e potrebbero trovarsi di fronte a clienti in morosità. È uno dei temi caldi all’assemblea di Elettricità Futura in programma venerdì a Milano.
Una conferma indiretta dello spostarsi dell’asse energetico viene dall’indice Irex, il quale supera per la prima volta quota 21mila punti, massimo storico. Lanciato nel 2008, l’Irex Index di Althesys segue la performance delle small-mid cap pure renewable quotate su Borsa Italiana e costituisce il riferimento per tracciare le performance del comparto delle energie rinnovabili in Italia. Comprende 14 titoli, con una capitalizzazione di 3.690 milioni di euro. «Sta crescendo l’interesse degli investitori per i titoli delle energie rinnovabili e della smart energy», rileva Alessandro Marangoni, economista di Althesys.
Il riassetto verso le fonti energetiche prive di emissioni di anidride carbonica è mostrato in modo evidente dal Bilancio di sostenibilità della primaria azienda elettrica italiana, l’Enel, bilancio che documenta il processo di decarbonizzazione: nel 2020 l’azienda ha aumentato la produzione nucleare al 12,5%, l’idroelettrico è salito al 30,1%, l’eolico al 15%, il solare al 2,8% dei 207,1 miliardi di chilowattora prodotti nel mondo nel 2020, mentre il carbone è sceso dal 16,4 al 6,3%. In questo modo il contributo delle fonti energetiche senza CO2 (il contributo del nucleare ovviamente non avviene in Italia) è salito dal 54,9% del 2019 al 63,4% del 2020.
Secondo Francesco Gracceva, ricercatore dell’Enea che coordina l’analisi trimestrale, fattori climatici e l’incremento del Pil (+17%) e della produzione industriale (+34%) hanno determinato una crescita della domanda di energia del 24% e delle emissioni di anidride carbonica (+25%), con ripercussioni sulla transizione energetica nel nostro Paese e sui costi.
Per fine anno, prevede l’Enea, la crescita tendenziale della domanda di energia e delle emissioni fa pensare a una crescita complessiva del 2021 nell’ordine del 6%. «A fine anno dovremmo aver recuperato oltre il 60% dei consumi di energia persi nel 2020», sottolinea Gracceva dell’Enea.
L’incremento dei consumi è stato particolarmente accentuato ad aprile (+36%) per le temperature più rigide rispetto allo stesso mese 2020, mentre il clima più caldo di giugno ha comportato un maggior ricorso al raffrescamento, con conseguente aumento della domanda di energia (+15%). Tra i settori, i trasporti hanno contribuito alla crescita dei consumi per una quota di oltre il 50% nel trimestre.
Rispetto alle fonti energetiche utilizzate, i combustibili fossili registrano forti incrementi: dopo il crollo della primavera 2020, la domanda di petrolio ha segnato un +30%, quella di gas un +21%, mentre per le fonti rinnovabili e il carbone registrano nell’ordine -1% e -2%.
Il forte incremento delle emissioni è da attribuirsi soprattutto ai trasporti. «L’aumento delle emissioni e l’innalzamento degli obiettivi UE al 2030 hanno comportato un nuovo sostanziale allontanamento dalla traiettoria di decarbonizzazione prevista».
Jacopo Giliberto
giornalista
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