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Il sorpasso spagnolo sul pistacchio è un film già visto con l’olio

di Lello Naso

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(Imagoeconomica)

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Gli investimenti iberici ricordano quelli che furono fatti sugli uliveti: una lezione che l’Italia sembra non aver imparato

23 gennaio 2023
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2' di lettura

Un déjà vu. L’escalation del pistacchio in Spagna e l’immobilismo dell’Italia hanno un illustre precedente. Alla fine degli anni Ottanta, nel momento in cui la dieta mediterranea e l’olio extra-vergine d’oliva erano in cima alle preferenze dei consumatori europei, la Spagna decise di investire massicciamente nell’olivicoltura. Furono estirpati i vecchi uliveti, ormai improduttivi, e furono sostituiti con alberi molto più fruttiferi e coltivati in modo da consentire lavorazioni e raccolte meccanizzate; furono costituiti pochi grandi consorzi di produttori; furono costruiti pochissimi frantoi di dimensioni industriali. Tutto attingendo ampiamente agli aiuti dell’Unione europea, in quel periodo particolarmente generosi con l’agricoltura.

Il risultato fu stupefacente: in pochi anni la Spagna passò da meno di 400mila a oltre 1,5 milioni di tonnellate di olio prodotto. Madrid divenne il primo produttore ed esportatore mondiale di olio e il principale interlocutore delle multinazionali che nel frattempo avevano fatto incetta di brand italiani presenti nella grande distribuzione (Unilever, per esempio, acquisì in rapida sequenza Dante, San Giorgio e Sasso). In quel periodo, Andalusia ed Extramadura, due delle aree più depresse della Spagna, trovarono una vocazione agroindustriale moderna e una rinascita economica.

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E l’Italia? L’Italia non fece nulla per correggere la frammentazione estrema dei suoi produttori (molti dei quali dopolavoristi) e frantoiani e la vetustà del suo uliveto. L’Italia rimase ferma a contemplare l’ombelico della sua leadership che andava svanendo, intorno alle 500mila tonnellate annue di media di olio prodotto, e venne superata in tromba dall’intraprendente e organizzatissima Spagna. Sul campo, agricolo,
e sui mercati.

Ironia della sorte, a ideare il piano di riconversione dell’uliveto spagnolo fu un agronomo italiano, Giuseppe Fontanazza, allora direttore dell’Istituto di ricerche sull’olivicoltura di Perugia. Fontanazza aveva proposto la ricetta adottata dalla Spagna ai ministri italiani dell’Agricoltura succedutisi negli anni e alle associazioni dei produttori. Non venne ascoltato nonostante fosse il massimo esperto mondiale del settore, un’autorità riconosciuta. A Madrid, invece, il professor Fontanazza aveva trovato interlocutori attenti, capaci di fare sistema, reperire finanziamenti comunitari e agire rapidamente.

L’olio d’oliva, evidentemente, ha insegnato molto alla Spagna e molto poco all’Italia e ai produttori di pistacchio.

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