di Giancarlo Mazzuca
(AFP)
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Più trascorrono le settimane, più i reportage sulla guerra in Ucraina sono diventati un calvario, una vera e propria Via Crucis con i racconti di bombardamenti, eccidi e violenze
devastanti che credevamo retaggio di un passato non più riproponibile. Ci eravamo illusi, sbagliando, che non avremmo più rivissuto quelle scene apocalittiche tornate invece d’attualità. Immagini agghiaccianti e strazianti che ci hanno letteralmente sconvolto. Ecco perché, al di là di tutte le conseguenze anche economiche del conflitto, restiamo sempre più annichiliti ed incerti sul nostro futuro.
Mai come adesso ci sentiamo molto vicini agli ucraini e ci stiamo impegnando per dar loro il nostro aiuto. Lo facciamo per fini umanitari ma non solo: c’è un po' di riconoscenza soprattutto da quando la guerra in corso si è spostata anche a sud della capitale perché, a ben guardare, tra Odessa e Sebastopoli è decollato il Risorgimento italiano. Se torniamo infatti a rileggere la nostra storia, scopriamo che - dopo i moti carbonari e la Prima guerra d’indipendenza - le nostre aspirazioni di libertà presero corpo proprio in quella penisola sul Mar Nero. Ricordiamo che la mossa vincente di Cavour e del piccolo regno di Sardegna fu quella di entrare a far parte della coalizione franco-inglese-turca che combatteva, tanto per cambiare, i russi.
Ci voleva un’acuta mente politica come quella di Camillo Benso per comprendere che quella specie di santa alleanza avrebbe consentito ai piemontesi di partecipare a pieno diritto al grande consesso europeo. Con quella spedizione (come dimenticare la vittoriosa battaglia della Cernaia con il generale Alfonso Lamarmora, futuro presidente del Consiglio, che sconfisse le truppe di Mosca?), il Regno di Sardegna fu così presente alla successiva conferenza di Parigi e la questione italiana venne posta all’attenzione di tutti. Ergo: nel 1859 Napoleone III si alleò ai piemontesi grazie anche alle “attenzioni” della contessa di Castiglione favorite dallo stesso Camillo. Ecco, dunque, la Seconda guerra d’indipendenza contro gli austriaci che portò alla costituzione del Regno d’Italia dopo la pace di Villafranca.
Ma c’è sempre stata una particolare vicinanza con gli ucraini. Qualche esempio? Odessa venne fondata da un ammiraglio napoletano, Giuseppe de Ribas, che la dedicò a Ulisse: aveva visto giusto considerando l’odissea che va in onda anche oggi. E il più napoletano di tutti, Edoardo Di Capua, scrisse proprio in quel porto sul Mar Nero “O’ sole mio”: correva l’anno 1898. Ma ad Odessa c'è pure la scalinata Potemkin (sì, proprio lo stesso nome della corazzata zarista che si ammutinò) realizzata nel 1834 dall’architetto italiano Francesco Carlo Boffo. Infine, nella vicina Yalta, la città della pace che pose fine alla Seconda guerra mondiale, è morto nel 1964 Palmiro Togliatti. Non c’è che dire: abbiamo davvero un “feeling” storico con l’Ucraina.
Giancarlo Mazzuca
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