di Pier Luigi del Viscovo
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La Fiat Punto fece scalpore per il prezzo di lancio a 11.111 euro. Non era un’epoca fa ma solo il 2005. Oggi nessuno conosce il prezzo delle auto. Complice il ricorso a rate e canoni mensili, non si guarda più al listino ma solo a quanto si deve sborsare ogni mese.
Grazie a questo meccanismo di vendita è stato possibile, nel decennio scorso, far salire gli italiani sui suv, col valore medio netto unitario passato dai 18.000 euro del 2011 ai 21.000 del 2019, un incremento quasi del 17%. Lo scorso anno poi il valore medio netto è arrivato a 22.400 euro, con un ulteriore balzo del 7%, come emerge dalla ricerca “Mercato auto in valore” promossa da Mapfre su dati Dataforce. Se poi consideriamo che su molte auto sono stati aggiunti soldi pubblici come incentivo, quel valore arriva a 22.850 euro. Però il 2020 è stato un anno anomalo anche per il crollo di due segmenti di vendita, il rent-a-car e i km0. Entrambi tendono a immatricolare un mix di auto piuttosto sbilanciato nei segmenti bassi, l’uno per soddisfare quella domanda fatta di uno/due persone per noleggi giornalieri, l’altro perché l’obiettivo è la targa per aumentare artificiosamente la quota del brand, e dunque si tende a massimizzare il risultato col minimo impegno economico.
A parte la congiuntura dell’anno Covid, il fenomeno resta ed è lecito interrogarsi su quali siano le conseguenze. La prima è quella tipica della mancanza del prezzo, che nei mercati ha una funzione centrale, di posizionare il brand e il prodotto, e se scompare dal radar il cliente fatica a percepire l’esclusività di certe offerte. Almeno dall’inizio del secolo questo è stato precisamente l’obiettivo dei brand premium, impegnati ad allargare verso il basso la fascia di clienti, con una narrazione tipo: il mio prodotto di qualità superiore oggi puoi permettertelo, grazie a rate, noleggi e altri artifici finanziari. Nel breve ha funzionato ma nel lungo termine qualche rischio c’è, sia perché la qualità è spesso percepita proprio attraverso il prezzo elevato, sia perché la qualità si associa in genere all’esclusività: se l’auto premium mi distingue meno dagli altri, viene meno anche il motivo della scelta.
L’altra conseguenza è l’ennesimo motivo di confusione per il cliente. Un’auto parte da un listino certo, che subito scompare attraverso una miriade di sconti a noleggiatori e concessionari, a cui si aggiungono su alcune versioni i km0 un mese sì e l’altro pure, su cui poi si innestano le promozioni delle finanziarie che giocano con anticipo, durata delle rate, tassi e valore finale. Risultato? Lato cliente: firmo e speriamo che la fregatura sia lieve. Lato concessionaria: comunque vendo il cliente penserà che mi sono approfittato. Tecnicamente: il far west.
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