di Andrea Biondi
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«La sensazione è di aver ricevuto un’iniquità. E questa è più difficile che porti a decisioni di investimento. Ti fidi di un Paese se sei trattato in modo equo e capisci la logica delle scelte». Eleonora (Tinny) Andreatta, da un anno vicepresidente per le serie italiane di Netflix dopo lunghi trascorsi alla guida della fiction della Rai, scandisce le parole. E non nasconde la delusione per lo schema di decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue Smav (Servizi Media Audiovisivi).
In virtù di questo decreto i giganti dello streaming, da Netflix in giù, avranno obblighi di maggiore investimento in produzioni audiovisive europee e italiane: dal 12,5% dei propri introiti netti in Italia attuali al 25% del 2025. Un risultato, questo, che il colosso di Los Gatos ritiene – per dirlo con le parole dette al Sole 24 Ore da Eleonora Andreatta e Stefano Ciullo, Direttore delle Relazioni istituzionali di Netflix Italia – «iniquo» e sbagliato nella modalità.
«In questi ultimi anni, e in particolare in quest’ultimo anno – precisa Andreatta – il Governo sta facendo una delle più ambiziose scommesse sul comparto audiovisivo, attraverso tax credit, la rivoluzione di Cinecittà e la creazione di un sistema in generale volto a un’espansione tale da far diventare l’audiovisivo un’industria cardine della ripresa economica». Tutto questo «in un clima, anche accalorato, ma di discussione, apertura, trasparenza. Sulle quote tutto questo non c’è stato».
Dialogo e collaborazione sono stati concetti chiave per Netflix in Italia, rivendica Ciullo, ricordando che «dal 2017 al 2020 abbiamo investito più di 300 milioni in Italia. Una cifra che supera l’investimento pubblico di 200 milioni che avevamo dato come obiettivo. Prevediamo più di 45 show (tra serie, film, documentari ed altro, ndr.) in due anni. Abbiamo contribuito all’ecosistema, lavorato e investito molto sulla formazione. Non si può negare la sorpresa per una mancanza di interlocuzione e per un approccio iniquo. Perché essere sottoposti al doppio degli obblighi rispetto agli altri (12,5% per tutti i broadcaster e 17% per la Rai, ndr.)? Speriamo che ci sia tempo per una discussione equa per tutto il settore». Anche perché a questo punto «si avvicina la scadenza del 16 settembre per i pareri parlamentari». La speranza è di arrivare a correttivi perché c’è «la possibilità di un beneficio a breve termine per i produttori, ma abbiamo forti dubbi che si vada a beneficio della competitività. E questa cosa riguarda tutti, noi come i broadcaster tradizionali».
Sul punto Andreatta va nel dettaglio: «Mi chiedo perché avviare un meccanismo che rischia di inflazionare i prezzi. Non ci sarà libera contrattazione perché noi dovremo necessariamente investire fino al doppio. Senza contare che tenere alta la qualità vuol dire anche trovare i progetti giusti».
Netflix pronta a disinvestire? Andreatta rifiuta la conclusione: «Noi crediamo nell’Italia e vogliamo investire con la piena consapevolezza che si tratta di un Paese sul quale puntiamo». Però «per tutto quello che non è la produzione italiana si faranno dei benchmark su come il Paese tratta i nuovi player».
Qui sta uno dei punti chiave: «Le multinazionali come Netflix hanno anche interessi diversi. Per esempio portare le produzioni da Los Angeles in Italia o anche Spagna o anche altri Paesi. Interessi a investire soldi ulteriori che non rientrano nelle quote. In un Paese in cui la sensazione è di aver ricevuto un’iniquità è più difficile arrivare a una decisione di questo tipo».
Sono quindi in primis gli investimenti aggiuntivi a rischiare. Ma, aggiunge Ciullo, «è anche l’investimento che rientra nelle quote che rischia di perdere di qualità a causa dei vincoli che caratterizzano questo sistema».
Certo è che per Netflix & Co. inizia un nuovo corso, puntellato ai due estremi dalle problematiche fiscali su quello che i giganti dello streaming pagano (o non pagano) al fisco italiano e dalla tematica dei diritti delle produzioni (Netflix li richiede per durate molto lunghe) che crea più di qualche dissapore nell’ambiente. Sul primo punto, Ciullo ribadisce una posizione consueta: «Noi paghiamo le tasse che sono dovute in Italia». Oltre all’Iva, le società tassate con imposte sui redditi sono due, piccole: la Los Gatos Entertainment Italy e la Los Gatos Services Italy. Netflix intanto entro fine anno aprirà un ufficio a Roma. Sul rapporto con i produttori invece, a parlare è Andreatta: «L’Italia in assoluto è il Paese dove si è andati maggiormente incontro alle necessità dei produttori».
Andrea Biondi
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