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Scade il decreto sull’etichetta d’origine. Coldiretti: «Addio pasta 100% italiana»

di Emiliano Sgambato

Brexit, britannici senza pasta italiana

Felicetti dei pastai di Unione italiana food: le informazioni resteranno. Dal 1° gennaio entrano in vigore le norme Ue e sarà più difficile conoscere completamente il paese di origine e molitura del grano

25 ottobre 2021
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5' di lettura

Addio alla pasta 100% italiana con la scadenza dal prossimo 31 dicembre 2021 dell’obbligo di etichettatura dell’origine del grano utilizzato, «con grave danno per quei consumatori che hanno preso d’assalto penne e spaghetti certificati tricolori con un aumento delle vendite del 29% nello scorso anno». A ricordarlo (e denunciarlo) è il presidente della Coldiretti Ettore Prandini da Tuttofood di Milano in occasione del World Pasta Day - la Giornata Mondiale della Pasta. Gli industriali della pasta assicurano comunque che l’origine del grano sarà ancora indicata e ricordano come il grano italiano copra solo una parte della produzione nazionale.

L’obbligo dell’etichettatura italiano (che vale – ricorda Coldiretti – anche per il riso, per il pomodoro per la passata, per il latte nelle confezioni di latte uht e per i formaggi e la carne di maiale nei salumi) è scattato il nel 2018 ed era già stato prorogato un anno e mezzo fa con l'entrata in vigore del regolamento europeo 2018/775 sull'origine dell'ingrediente primario. Si passerà dunque a regole che prevedono comunque indicazioni sulla provenienza degli ingredienti principali (se diversi da quello che la confezione lascia intendere) ma in modo meno stringente di quelle in vigore in Italia fino a fine anno, lasciando in sostanza molta più flessibilità sul riferimento all'origine. Ad esempio la pasta con una bandiera tricolore sulla confezione dovrà indicare se il grano utilizzato – in prevalenza – è proveniente da un altro Paese, altrimenti non sarà obbligata a scrivere nulla.

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L’importanza dell’etichetta

L’attuale obbligo prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia debbano indicare il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura e se proviene o è stato macinato in più Paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le seguenti diciture: paesi Ue, paesi Non Ue, paesi Ue e Non Ue. Inoltre, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si può usare la dicitura: Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue.

«È una misura – argomenta Coldiretti – che ha portato gli acquisti di pasta con 100% grano italiano a crescere quasi 2 volte e mezzo, spingendo le principali industrie agroalimentari a promuovere delle linee produttive con l’utilizzo di cereale interamente prodotto sul territorio nazionale. Un trend sul quale rischia però ora di scatenarsi una tempesta perfetta, con la scadenza dell’obbligo dell’origine in etichetta che si aggiunge al caro prezzi determinato dagli aumenti delle quotazioni internazionali del grano legati al dimezzamento dei raccolti in Canada».

Il paese nordamericano «è il principale produttore mondiale – continua Coldiretti – e fornitore di un'Italia che è costretta oggi ad importare circa il 40% del grano di cui ha bisogno ed è dunque particolarmente dipendente dalle fluttuazioni e dalle speculazioni sui mercati. Il tutto nonostante in Canada sia consentito l'utilizzo del glifosato in preraccolta, modalità vietata sul territorio nazionale.Per recuperare sovranità e garantire la disponibilità del grano e degli altri prodotti agricoli occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali».

Il grano italiano – scrive ancora Coldiretti – «viene infatti pagato al momento circa il 20% in meno rispetto a quello importato nonostante le maggiori garanzie di sicurezza e qualità, mentre i nostri produttori si trovano peraltro a fronteggiare l’aumento esponenziale dei costi di produzione legati all’aumento senza fine dei mezzi tecnici utili alla coltivazione dal gasolio ai concimi».

I pastai: le informazioni resteranno in etichetta

Questo ovviamente non vuol dire che i produttori non punteranno più su una fascia di prodotto che funziona e premia il made in Italy. «Gli italiani, così come fatto finora, continueranno a trovare nelle confezioni le informazioni sull'origine della materia prima – è il commento di Riccardo Felicetti, presidente dei Pastai italiani di Unione Italiana Food. A prescindere da qualunque quadro normativo in materia, non cambierà la nostra trasparenza nel far sapere al consumatore da dove arriva il grano utilizzato per fare la pasta».

«Il saper fare dei pastai italiani parte dalla selezione di grani duri sia italiani che esteri, scelti e miscelati per assicurare sempre un prodotto eccellente, che tutto il mondo ci invidia. Ma – sottolinea Unione Italiana Food – l’origine del grano non è automaticamente un indicatore di qualità o di sicurezza». Ogni anno nei pastifici italiani vengono fatte oltre 200mila analisi sul grano e 600mila sul prodotto finito ed è solo l'ultimo di 15 livelli di controllo di qualità e sicurezza. Secondo Felicetti, «la qualità non conosce frontiere e la sicurezza è garantita da stringenti normative europee e da un rigido sistema di controlli nazionali, sia sulla materia prima nazionale, sia su quella importata, cui si aggiungono numerosi autocontrolli dei pastai»

La materia prima italiana resta comunque centrale nella produzione di pasta Made in Italy: non solo i pastai italiani acquistano tutto il grano duro italiano adatto alla pastificazione, ma – sottolineano da Unione Italiana Food – con un protocollo d'intesa siglato nel 2017 con i principali attori della filiera (agricoltori, cooperative, aziende sementiere e di stoccaggio, industria di trasformazione), hanno certificato unità di intenti per renderla più competitiva nel segno di qualità, sicurezza e corretta ripartizione del valore. E infatti, da quando è stato siglato il protocollo grano-pasta è boom dei contratti di coltivazione tra pastai e mondo agricolo e cooperativo, il numero dei contratti filiera tra agricoltori e pastai è più che raddoppiato. «Questi accordi hanno garantito all'industria pastaria grano “giusto” per la pastificazione e agli agricoltori italiani un'equa remunerazione, al riparo dalle oscillazioni del mercato, con premi di produzione legati al raggiungimento di specifici parametri qualitativi e di sostenibilità», concludono i pastai.

Produzione record e differenziata

In Italia si producono 3,9 milioni di tonnellate di pasta con una filiera che conta 120 imprese, oltre 10mila addetti e quasi 200mila aziende agricole italiane impegnate a fornire grano duro di altissima qualità. Nel corso del tempo sono aumentati esponenzialmente anche i formati della pasta che sono ormai arrivati a quota 300, mentre alle varietà tradizionali si sono aggiunte quelle fatte con l'integrale, il gluten free, quelle con farine alternative e legumi.

La ricerca del Made in Italy – aggiunge Coldiretti – ha condotto anche alla riscoperta di grani antichi, riportando nel piatto il Senatore Cappelli, laTimilia, il Saragolla e altre varietà che hanno fatto la storia del Paese a tavola.

All’estero finisce ben oltre la metà (il 62%)della produzione nazionale di pasta. In testa alla classifica dei principali clienti si piazza la Germania, davanti a Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Giappone, cinque paesi che assorbono da soli oltre metà dell`export, mentre i mercati in più rapida crescita sono Cina, Canada, Spagna e Arabia Saudita. Nel 2021 le esportazioni di pasta tricolore raggiungeranno il valore di 2,9 miliardi, secondo una proiezione della Coldiretti su dati Istat, con un aumento del 7% rispetto al periodo pre Covid.

Il ritorno della pasta fatta in casa

Ma con la pandemia gli italiani sono tornati anche a fare la pasta in casa con quattro famiglie su dieci (41%) che nel 2021 si sono cimentate con il mattarello sotto la spinta del ritorno alla tradizione e del maggior tempo trascorso tra le mura domestiche, secondo un'analisi Coldiretti/Ixè. Dalle tagliatelle ai tortellini, dalle lasagne ai ravioli, se in passato erano, soprattutto i più anziani a fare la pasta un casa adesso la passione si sta diffondendo anche tra i più giovani e tra persone completamente a digiuno delle tecniche di preparazione, grazie alle nuove tecnologie che hanno registrato un boom di vendite durante la pandemia. Anche grazie a questo trend l'Italia resta il paese con il più elevato consumo di pasta per un quantitativo di 23,5 chilogrammi a testa contro i 17 chili della Tunisia, seconda in questa speciale classifica seguita da Venezuela (15 kg), Grecia (12 kg), Cile (9,4 kg), Stati Uniti (8,8 kg), Argentina e Turchia a pari merito (8,7 kg) che testimoniano come questo tipo di prodotto abbia estimatori ad ogni latitudine.


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