di Angelo Flaccavento
La sfilata Prada PE 2023
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Moralizzare è un arduo compito, soprattutto in tempi di galoppante deregulation, ma qualcuno dovrà pur sobbarcarsene l’onere. «Non ho nulla contro l’eccesso, a patto che abbia una ragione e un senso, che al momento, in giro, non vedo» dice Miuccia Prada. La moralizzatrice, in coppia di fatto con Raf Simons, è lei, che lo è già stata più volte in epoche passate e che ha la bussola puntata fermamente controcorrente. Ma, ed è qui la differenza esiziale con i troppi Savonarola e millenaristi dalla predica facile, i due sono scevri da ogni moralismo: si muovono leggiadri e puntuali, per quanta leggerezza ci possa essere nei campi elisi dell’alto concetto, e fanno moda.
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Vestiti: niente di più e niente di meno, eppure impastati di pensiero in ogni fibra. Il mantra di stagione, espresso in una prova di funereo e corroborante vitalismo, scarna come un disegno a penna di Alberto Giacometti o una scultura lignea medievale, è crudo. «Crudo come non inutile, privo di complicazioni – dice la signora, a sua volta crudamente vestita di una t-shirt bianca goffrata –. Ritorniamo spesso su questo concetto che ci attrae dal punto di vista politico, teorico ed estetico. In questa collezione non c’è spazio per strutture complicate». La prova, sobria al limite della cupezza nell’abbondare di neri da bidello, grigi da questurino e lampi di rosso voluttuosi, energica invece che rinunciataria, è un esercizio di decorticazione di forme che echeggiano il bon ton degli anni Sessanta – topos pradesco per antonomasia – ridotte a zero, acciaccate, schiacciate come fogli di carta gettati nel cestino. Il risultato è una salutare iniezione di pauperismo, al netto delle tutine francamente punitive.
MM6 Maison Margiela (Photo by Miguel MEDINA / AFP)
Da Maison Margiela il pauperismo da sempre è di casa, ma ultimamente è stato deviato con maggior decisione verso MM6, la linea di più facile comprensione e ampia diffusione. Accompagnata da una orchestra live, la teoria di t-shirt sbrindellate, giacche mangiate dalle tarme, pantaloni over e top minimi è puro Margiela, in chiave metropolitana.
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Altrove l’orizzonte di senso, e di estetica, si sposta verso il mare, come del resto impone la stagione. Gabriele Colangelo, da Giada, epura ed emoziona, pensando ai versi marittimi di Pascoli, ma regala alle sue donne, sempre così eteree, un frisson di sensualità. Da Moschino tutto è gonfiabile, come un salvagente, ma il gioco del direttore creativo Jeremy Scott punta altrove: alla terribile inflazione che tutto ci affligge, alla quale si risponde con una salvifica risata.
Leggero nei modi, nelle forme e nei colori, da Emporio Armani Giorgio Armani immagina un misto eclettico di esotismi balinesi e decostruzioni invero armaniane, e presenta tutto su tacchi rasoterra, puntando su una palette naturale e slavata accesa di sera dai bagliori dei ricami. È l’ennesima reiterarazione di uno stile che più si ripete e meglio è, con un unico neo: espresso in questi termini, lo spirito di Emporio risulta troppo vicino a quello della linea principale, e perde lo slancio metropolitano che sempre lo ha caratterizzato. «Questa collezione esprime un pensiero di libertà e apertura: la leggerezza del ritorno da un lungo viaggio nel quale si sono accumulate cose e ricordi, e li si mescola nella propria quotidianità. È come portare la vacanza in città», spiega Armani.
Le vacanze evocate da Max Mara sono di altra atmosfera: gli anni Trenta della riviera francese popolata da artisti e artiste in modalità di intenso scambio creativo. Un momento magico che ha regalato all’immaginario collettivo una iconografia elegante e nonchalant, tradotta in passerella in silhouette liquide, pure e allungate, punteggiate da cuffie da aviatore e grandi cappelli di paglia, e dai capispalla di intonsa precisione nei quali il marchio eccelle.
Dsquared2 (ANSA/UFFICIO STAMPA)
Ancora mare da Dsquared2, ma ennesimo cambio di scena: spiagge atlantiche e totale menefreghismo da surfisti. Per amplificare l’effetto dei look supersexy ma messi insieme come alla rinfusa, lo show si svolge nei saloni rarefatti di un palazzo patrizio, e il risultato convince. Da Genny sono colori aciduli e luccicanze ad ogni ora, tra California e discoteca, mentre da Act N.1 si sperimentano identità e maschere con verve insieme radicale e seducente. Infine Giuliano Calza, da GCDS, celebra la diversità come valore e immagina un plotone di coloratissimi club kid la cui presenza hic et nunc è tanto più politica quanto più è festaiola.
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