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Gabrielli: «Il buco nero dei rimpatri è l’identificazione»

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Il capo della Polizia Franco Gabrielli

Il capo della Polizia Franco Gabrielli

8 marzo 2017
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3' di lettura

«Il vero buco nero dei rimpatri è l’identificazione: ci vuole uno Stato sovrano che riconosca che quel cittadino è un suo cittadino». Lo ha detto il capo della Polizia, Franco Gabrielli, nel corso di un’audizione dinanzi alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, rilevando che negli ultimi dieci anni circa il 45% degli ospiti dei Cie è stato poi effettivamente espulso.

Con le nuove misure aumenta l’effettività dei provvedimenti di allontanamento
Per Gabrielli il 'pacchetto' immigrazione varato pochi giorni fa dal Governo «interviene anche per innalzare il gradiente di effettività dei provvedimenti di allontanamento, un tema che rappresenta uno dei pilastri sui quali riposa la credibilità delle politiche migratorie di qualunque Stato». Il provvedimento prevede la creazione al posto dei Cie, che «hanno avuto esperienze negative in passato anche per le loro dimensioni», i Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), «piccole strutture, una in ogni regione, per migliorare il governo e il controllo e salvaguardare la dignità delle persone».

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Quella dei minori non accompagnati è un’emergenza nell’emergenza
Il capo della polizia ha definito «un’emergenza nell’emergenza» quella dei minori non accompagnati, anche per i numeri: lo scorso anno ne sono sbarcati 25mila. Gabrielli ha dichiarato «che la normativa sui minori non accompagnati «è stata disegnata su soggetti vulnerabili, ma oggi il mondo è cambiato e persone che noi giuridicamente consideriamo minori provengono da Paesi in cui ragazzi di 15-16 anni sono persone molto più adulte di quanto noi possiamo immaginare e quando li mettiamo nelle case-famiglia, provocano una serie di problematiche che rendono complicata la loro gestione».

E ha raccontato la sua esperienza sul campo da prefetto di Roma. «Quando ero prefetto di Roma - ha ricordato Gabrielli - avevamo spesso problemi con i ragazzi egiziani, molti dei quali erano dediti allo spaccio ed alla prostituzione maschile. È una generazione bruciata, non possiamo astrarci e immaginare che non ci sia tutto questo. Occorre creare giusti strumenti di governo di questo fenomeno. Non si possono immaginare strumenti perfetti che hanno poi grossa difficoltà ad essere gestiti nel pratico. Un flusso così significativo di minori che provengono da culture cosi diverse dalla nostra - ha sottolineato - non può essere affrontato in maniera asettica. La legge non può non prendere coscienza della dimensione del fenomeno».

Nessuna retata per espellere i nigeriani
«Lei parla di una vera e propria retata con profili discriminatori, ma non è così», ha detto il capo della polizia al presidente della commissione Diritti umani, Luigi Manconi, che gli chiedeva conto di una circolare firmata dal direttore Immigrazione e polizia delle frontiere del Dipartimento di pubblica sicurezza,
Giovanni Pinto, con la quale si chiedevano agli uffici “servizi mirati” per rintracciare nigeriani irregolari e portarli nei Cie, dove erano stati loro riservati dei posti.

«Innanzitutto - ha ricordato Gabrielli, in audizione alla Commissione - stiamo parlando di una nazionalità la cui presenza sul territorio non è marginale. I nigeriani sono al primo posto con 37mila sbarcati nel 2016 e si tratta generalmente di migranti economici. Ricordo che in media solo il 5% dei richiedenti ottiene lo status di rifugiato, altri ottengono la protezione umanitaria e sussidiaria (quest'ultima una cosa solo italiana); il 65% è costituito da migranti economici irregolari. Il fatto di concentrare in determinati periodi le attività di rintraccio degli irregolari da rimpatriare - ha aggiunto - deriva anche dal fatto che l’Ue ci ha messo a disposizione dei voli charter e noi abbiamo segnalato agli uffici di polizia questa disponibilità. Sono strumenti leciti». (N.Co.)

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