di Gianluca Di Donfrancesco
3' di lettura
Con la consegna ai ministri dell’Ambiente delle proposte approvate mercoledì 29 settembre, la Youth4Climate passa il testimone ai leader mondiali. La conferenza dei giovani si chiude con una serie di richieste audaci e l’appello a fare di più per fermare il surriscaldamento globale. Il documento, frutto del lavoro di 400 delegati arrivati da tutto il mondo, sarà ora preso in considerazione dai rappresentanti di 50 Stati e delle agenzie Onu nella Pre-Cop26 di Milano.
Il passaggio di consegne è avvenuto alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e del premier Mario Draghi, che ha incontrato a margine le attiviste Greta Thunberg, Vanessa Nakate e Martina Comparelli. Vednerdì 1° ottobre
Superati i cori di disturbo di alcuni attivisti (subito scortati fuori dalla struttura del centro congressi), Draghi ha ringraziato i giovani, «che rappresentano la generazione che ha più da perdere dai cambiamenti climatici. Avete ragione a chiedere responsabilità. Abbiamo molto da imparare, vi ascolteremo». Crisi climatica, diseguaglianza, povertà e crisi alimentare sono collegate, ha detto il premier. «La transizione è una necessità o la affrontiamo ora o pagheremo un prezzo ancora più alto in futuro», a causa dei disastri causati dal global warming.
L’Italia sta cercando di muoversi nella giusta direzione e ha stanziato il 40% delle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza per la transizione ecologica, ha detto Draghi. «Dobbiamo aumentare la quota delle rinnovabili nel mix energetico nel Paese e creare una mobilità più sostenibile». Ma per avere successo, ha avvisato il premier, «tutti i Paesi devono fare la loro parte, a cominciare da quelli del G20», che rappresentano l’80% delle emissioni globali di gas serra. Draghi dà appuntamento al vertice dei Venti Grandi di fine ottobre per accelerare gli sforzi per contenere il surriscaldamento globale entro la soglia di 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. Un obiettivo ormai considerato molto complicato da raggiungere da diversi report scientifici.
Ai lavori sono intervenuti da remoto il premier britannico, Boris Johnson, e il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, che più volte ha lanciato l’allarme sui pericoli del climate change. «Un bambino nato nel 2020 dovrà sopportare temperature elevate sette volte di più e due volte la siccità rispetto ai suoi nonni. I giovani di tutto il mondo stanno già pagando il prezzo per le azioni senza scrupoli di chi è venuto prima di loro», ha detto il Johnson.
L’inviato speciale del presidente Usa sul clima, John Kerry, ha ricordato che «Paesi che rappresentano il 45% del Pil globale, Usa, Regno Unito, Unione europea, Giappone e Canada si sono impegnati a riduzioni delle emissioni di gas serra in linea con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi. Ma siamo indietro: occorre fare di più perché anche altri Paesi aderiscano a questo impegno». Un riferimento indiretto alla Cina, che ha promesso la decarbonizzazione netro il 2060, ma non ha formalizzato l’impegno alle Nazioni Unite.
Da giovedì 30 settembre a sabato 2 ottobre, il summit dovrà elaborare la cornice programmatica da inviare alla conferenza mondiale che si terrà a Glasgow (organizzata da Regno Unito e Italia) tra poche settimane. A Milano si gettano quindi le basi per il risultato della Cop26, considerata l’ultima finestra di opportunità per correggere rotta, allineare i sistemi produttivi mondiali ai target dell’Accordo di Parigi del 2015 e frenare l’aumento delle temperature medie sotto i 2 gradi. Posto che sarà molto difficile stare sulla soglia di 1,5 gradi, quella che dà maggiori garanzie contro gli effetti disastrosi del climate change: siccità, desertificazione, uragani e alluvioni.
Lo ha ricordato Draghi: sostenere la transizione dei Paesi più fragili è un «imperativo». È uno dei punti centrali del dibattito. Il capo del Green Climate Fund delle Nazioni Unite, Yannick Glemarec, ha richiamato ancora una volta i Paesi ricchi a mantenere la promessa di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per le economie in via di sviluppo. L’impegno era stato preso formalmente nel 2010: si doveva partire nel 2020, ma l’impegno non è stato rispettato.
Glemarec ha affermato che le ultime cifre - che mostrano finanziamenti per il clima per le nazioni vulnerabili a poco meno di 80 miliardi nel 2019 - sono state una «delusione» e rappresentano un grave ostacolo verso sulle possibilità di successo della Cop26.
Gianluca Di Donfrancesco
redattore
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy