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Nell’ultimo trentennio gli allevamenti italiani hanno ridotto le proprie emissioni del 24% in controtendenza all’aumento rilevato a livello mondiale (+16%). E mentre il nostro Paese nel periodo 1990- 2020 abbassava di circa un quarto le proprie emissioni, il Brasile le ha aumentate del 44%, Marocco e Turchia del 23%, India del 21%, Tunisia del 18%, Cina dell’8%, Irlanda del 6% e Usa del 3%. Questa l’analisi, su dati del centro studi Divulga, della Coldiretti che fa quadrato e chiama istituzioni e operatori a una nuova battaglia in Ue dopo l’accordo di compromesso sul testo della nuova direttiva per la riduzione delle emissioni industriali, includendo per la prima volta gli allevamenti, anche quelli di piccole e medie dimensioni.
Accordo che ha ricevuto l’ok dal Consiglio dei ministri dell’Ambiente Ue il 16 marzo scorso ma senza il consenso dell’Italia. In tal senso Coldiretti ringrazia il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin secondo il quale le soglie per i bovini sono “inaccettabili” per l’Italia. Posizione condivisa dal ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida che aveva sottolineato come tali iniziative basate su «scelte ideologiche rischiano di portare aumenti dei costi di allevamento e al consumo a vantaggio della concorrenza dei paesi extra Ue», e alla desertificazione di un settore produttivo primario in Ue.
È necessario, dunque, anche dopo questo primo via libera «continuare la battaglia per fermare la Direttiva europea ammazza stalle che equipara gli allevamenti alle fabbriche spingendoli alla chiusura», dice il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. Normativa «insostenibile e ingiustificabile se guardiamo i dati delle emissioni - dice Prandini - che dovrà ora essere discussa in Parlamento europeo dove sarà ribadita la richiesta di mantenimento dello status quo sottoscritta dalle principali organizzazioni agricole Ue su iniziativa di Coldiretti, dal Belgio (Fwa) alla Repubblica Ceca (Akcr e Zscr), dalla Germania (Dbv) alla Francia (Fnsea), dalla Polonia (Fbzpr) al Portogallo (Cap) dalla Slovacchia (Sppk) alla Spagna (Asaja)».
L’approccio dell’Unione Europea, prosegue Coldiretti «è fondato su dati imprecisi e vecchi, e rischia di provocare impatti negativi». Situazione che riguarda tutti, non solo il nostro Paese. La svolta positiva sulla riduzione delle emissioni climalteranti, sempre secondo il centro studi Divulga, oltre all’Italia interessa infatti anche i principali Paesi produttori dell’Unione Europea come la Francia, che ha tagliato del 20% le emissioni Co2 equivalenti, la misura che esprime in modo uniforme l’impatto sul clima dei diversi gas serra, e la Germania che le ha ridotte del 40%.
«Dopo gli allarmi terroristici sulle bottiglie del vino e l’etichetta Nutriscore che boccia cibi naturali della dieta mediterranea - rileva Coldiretti - si apre questo nuovo fronte. Una proposta contestata dagli allevatori in Italia ed in Europa dove si allarga la protesta, come dimostrano i recenti risultati delle elezioni provinciali in Olanda. Qui il partito emergente nel panorama politico olandese, il Boer Burger Beweging, movimento civico dei contadini, è volato al 19% togliendo consenso al premier Mark Rutte, ritenuto responsabile - sottolinea ancora Coldiretti - del recepimento delle norme comunitarie sulle emissioni che provocano la decimazione degli allevamenti».
La proposta della Commissione di revisione della Direttiva sulle emissioni industriali (Ied) se non adeguatamente contrastata, mette poi in evidenza la Coldiretti, «potrebbe portare alla perdita di posti di lavoro con la chiusura di molti allevamenti di dimensioni medio-piccole, minando la sovranità alimentare, con il conseguente aumento della dipendenza dalle importazioni di prodotti animali da Paesi terzi, che hanno standard ambientali, di sicurezza alimentare e di benessere animale molto più bassi di quelli imposti agli allevatori dell’Ue». Con un effetto boomerang, conclude Coldiretti, in termini di aumento delle emissioni a livello globale.
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