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Start up, più di 3mila nuove realtà da inizio 2021

di Luca Orlando

Aperte le candidature delle start up per DigithON

Il totale è ora a quota 14mila. Confermato il traino della Lombardia e di Milano, che da sola vale quasi 600 iscrizioni aggiuntive

11 settembre 2021
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3' di lettura

Già più di 3mila dall’inizio dell’anno, in soli otto mesi. L’accelerazione delle start up prosegue anche nel 2021, anno che quasi certamente batterà il record precedente. Realizzato, a sorpresa, nell’anno più duro dell’Italia dal dopoguerra. Così, con gli ultimi ingressi di inizio settembre, la platea delle start up inserite nel registro delle camere di commercio supera la soglia delle 14mila unità, con un passo di quasi 400 nuove ammissioni al mese: dall’inizio dell’anno, tenendo conto anche di sabati e domeniche, di fatto si tratta di più di 12 iniziative al giorno.

Se nei primi otto mesi del 2020, per effetto non solo del disorientamento complessivo ma anche delle chiusure amministrative imposte dall’emergenza Covid, le nuove iscrizioni erano state poco più di 2000, nell’analogo periodo 2021 la crescita è dunque nell’ordine del 50%. Progresso che si innesta già su un valore elevato, tenendo conto che il 2020, a dispetto di ogni previsione, è stato comunque un anno record. Sviluppo agevolato in parte dalle modalità di inserimento nel registro speciale delle Camere di Commercio, accessibile anche on line (e senza la partecipazione di un notaio), grazie ad una normativa che ora è stata tuttavia messa in discussione da una sentenza del Consiglio di Stato, in accoglimento di un ricorso del Consiglio Nazionale del Notariato. Ad ogni modo, il trend di crescita delle nuove attività non si inverte.

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Nella sola Milano quasi 600 nuove iscrizioni

Capofila in termini di innovazione ancora una volta in termini geografici è la Lombardia, grazie in particolare al traino di Milano, da sola responsabile quest’anno di quasi 600 iscrizioni, il 19% del totale Italia.

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Al secondo posto è sempre Roma, seppure ad ampia distanza: nella capitale si sono registrate nei primi otto mesi 379 start-up. Numeri in crescita anche al Sud, come testimoniato dalle 136 attività aggiuntive a Napoli e dalle 93 di Bari. Il che porta il capoluogo pugliese a ridosso della quinta posizione assoluta tra le province, ad appena 20 unità da Bologna.

Fondi a disposizione e voglia di proporre nuove idee

«A spingere i numeri in tutta Italia - spiega il presidente di InnovUp Angelo Coletta - vedo due fenomeni: da un lato l’attività di Cdp con nuovi fondi a sostegno dell’innovazione, dall’altro una ritrovata voglia di proporre idee e novità, reazione che in una certa misura è tipica di una fase successiva ad una grande crisi come quella che abbiamo attraversato. In generale, poi, l’ottimismo generato dall’arrivo dei fondi europei rappresenta uno stimolo in più per il varo di nuove attività, che spesso incrociano proprio i temi della digitalizzazione e della sostenibilità».

Il settore dei servizi al 75%

Scorrendo l’elenco delle start up, nel 75% dei casi si tratta di servizi alle imprese o alle persone, con una larga prevalenza di attività legate ai software e alla consulenza informatica. Gestione dell’energia, smart mobility, home delivery e applicazioni green sono tra i settori più presenti, mentre la quota di attività manifatturiere in senso stretto è limitata al 15% del totale.

Dagli ultimi bilanci disponibili risultano attività di mercato ovviamente ridotte: solo una realtà su due ha presentato un bilancio, chi lo ha fatto sviluppa in media 171mila euro di produzione, il che porta ad un totale di poco meno di 1,3 miliardi di euro. Limitato anche l’impatto occupazionale: solo 4719 realtà presentano dipendenti, che nel complesso sono poco meno di 17mila.

Il problema è crescere

«All’Italia non manca certo qualità imprenditoriale - aggiunge Coletta - piuttosto due ingredienti importanti per lo sviluppo successivo delle iniziative. I fondi di sostegno nelle prime fasi sono in Italia troppo piccoli e adatti a gestire operazioni di taglia ridotta mentre altrove, penso a Regno Unito o Stati Uniti, il taglio standard è nell’ordine dei dieci milioni di euro. Entrare in una fase early stage con meno capitale chiedendo comunque una quota significativa, ad esempio il 10%, limita poi lo spazio per round successivi di altri investitori. Altro nodo che limita lo sviluppo è la ridotta disponibilità di manager con competenze internazionali, risorsa scarsa che sarebbe invece preziosissima per far decollare le nostre iniziative allargando il loro mercato di sbocco. Su questi aspetti l’Italia è ancora molto indietro».

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