di Luca Lisci *
(EPA)
5' di lettura
“Il World Wide Web si riorganizza attraverso la Blockchain, trasformando la società globale. La moneta è solo digitale e il voto necessario alla amministrazione politica delle comunità viene assegnato tramite dei gettoni virtuali. L’organizzazione del lavoro è automatica: i talenti vengono aggregati e disaggregati liquidamente attorno a obiettivi di business generati da Intelligenze Artificiali specializzate in strategie decisionali. Le persone gestiscono le loro relazioni attraverso dispositivi che sono necessari per accedere alle risorse personali e collettive, creando di fatto una persistente simulazione parallela e sovrapposta alla realtà fisica. Una realtà virtuale che viene chiamata Metaverso“.
In molti hanno notato come questa definizione degli scenari tecnologici del prossimo decennio assomigli moltissimo all’ambientazione del libro di Neal Stephenson, Snowcrash, pubblicato nel 1992. Trent’anni fa quello che era raccontato come un futuro plausibile ora è diventato un futuro altamente probabile. Mentre la discussione su questo prossimo presente infuria nel web, vorrei soffermarmi sugli aspetti intimi di questo scenario. Cosa motiverà le nostre azioni? Su quali basi percepiremo il senso della vita? Cosa ci renderà felici? Insomma: come si realizzerà la cultura del benessere delle persone nei nuovi tipi di complessità culturale, sociale, economica che lo scenario comporterà?
Partirei da una riflessione su siamo arrivati sin qui, a questa nostra esistenza quotidiana intermediata dalle tecnologie digitali. Diamo per certo che è sempre l’approccio culturale che genera l’impulso per la creazione di nuove soluzioni tecniche. E l’approccio culturale alla felicità è stato un crescendo di stimoli fondamentali per l’evoluzione delle tecnologie, e nessun altro bisogno umano risponde al senso di felicità come il Gioco.
Lo dice Alessandro Baricco (the Game, 2018): la cultura è una continua mutazione dell’approccio alla vita, che sintonizza l’economia alla socialità, il collettivo al personale. Per abilitare il meccanismo di sintonizzazione usiamo la tecnologia. Una volta che la tecnologia ha modificato la cultura, nasce l’esigenza di trovare una nuova tecnologia più adatta. E così via: è una ruota che alterna successi e fallimenti all’insegna dell’emersione degli allineamenti più efficienti fra tecnologie e stadi culturali emergenti. È già gioco in sé: la sfida a riallineare la nostra natura, e il campo da gioco è la tecnologia.
La rivoluzione tecnologica del vapore è stata guidata da un approccio alla cultura della mobilità in cui la priorità era l’espansione della logistica del mercato, finché le fabbriche non hanno reso la produzione così economica che la costruzione della domanda è diventato un elemento di business più critico dell’offerta. La rivoluzione tecnologica dell’elettricità è stata guidata da un approccio basato sulla cultura della comunicazione, che ha ridotto l’impatto della distanza a un telegramma o a un ponte radio, e poi alla televisione, e al fax. Fino a quando la velocità di gestione della comunicazione ha reso possibile immaginare la semplificazione della gestione dei processi attraverso la fruizione dei dati, delle informazioni che rappresentano i processi.
La rivoluzione della tecnologia digitale è stata guidata da un approccio basato sulla cultura dell’informazione, finché l’importanza della facilità d’uso - usabilità e disponibilità - ha superato ogni altro aspetto del valore. È successo quando i consumatori si sono trasformati in utenti. È iniziata negli anni ’80. La grande diffusione di videogiochi arcade a gettoni come Space Invaders aprì la porta culturale all’ampia adozione delle console per videogiochi, introducendo la possibilità dei Personal Computer di istallarsi in ogni casa privata.
Sebbene “digitale” non fosse ancora una parola comune, l’obiettivo ultimo degli strumenti digitali era quello di coinvolgere e divertire con facilità. Nella prospettiva odierna, gli utenti erano il nuovo target emergente del business del consumo come servizio: non è essenziale l’oggetto, ma il servizio erogato da quell’oggetto. Negli anni ’90, tutti si godevano la facilità di trovare informazioni in una rete mondiale di opportunità: Internet. Ritrovare informazioni nel web funzionava, e ancora funziona, come una slot machine: “Mi sento fortunato” è apparso sulla pagina html più visitata della storia all’indirizzo www.google.com fin dall’inizio. Allo stesso tempo, Photoshop ha reso possibile qualsiasi immagine che prima era impossibile.
Abbiamo imparato come il virtuale possa diventare reale nella narrazione del nostro paesaggio online. Ad esempio, il gioco della finzione - come simmetricamente il gioco di ruolo, o della rappresentazione - ha preso il suo posto come strategia di valore per la comunicazione online, avviando nuovi paradigmi estetici. Passaggio fondamentale per quello che accadde successivamente. Ad esempio: il fenomeno degli influencer nasce come iconizzazione del successo: è necessaria una rappresentazione idealizzata dell’utente affinché l’influencer diventi soggetto aspirazionale. Si spiega così come dopo Photoshop eravamo pronti per la virtualizzazione delle relazioni sociali.
Tutt'ora non ci badiamo molto se un’immagine è reale oppure no, fino al momento in cui viene accettata dal nostro network; dunque, la rappresentazione online di noi che usiamo per interagire con gli altri è lecita anche quando non si sforza di rimanere fedele alla realtà. Negli anni duemila i social network hanno avuto un boom. Non è una sorpresa che siano cresciuti esponenzialmente grazie alla passione degli utenti per la creatività personale, la musica e il gossip: il tempo libero.
Nell’abbracciare la più potente trasformazione culturale della storia dell’uomo dall’invenzione della scrittura siamo stati incredibilmente leggeri e giocosi. Essendo radicati nel locale, allo stesso tempo sensibili a ciò che avveniva globalmente tanto da estendere il senso di comunità all'estensione dei nostri profili social, ben presto i social network hanno rivelato la loro magnificenza come scacchiere di interazioni sociali (muovi il consenso, stimola la conversazione, ricevi approvazione, rispondi alle contestazioni: tutto per aumentare il tuo seguito online) che oggi in molti ritengono indispensabili per la nostra qualità di vita.
Per arrivare al modo in cui il gioco del presente si collega al prossimo futuro, considererei il social network il prequel del Metaverso. Da quando gli smartphone sono diventati la norma, abbiamo associato l’esperienza di utilizzo al fondamento del gioco: azioni corrette restituiscono ricompense. Abbiamo imparato a scorrere il dito per goderci il feed dei social media. Le aspettative di un possibile positivo feedback sociale che si rivela in un ulteriore swipe-up ci fanno ripetere quel gesto di speranza - motivati da flussi di dopamina - finché non arriva. Il gesto si sostituisce presto al reward: ci basta scorrere per stare bene. Viviamo letteralmente il momento del piacere sulla punta delle dita.
Una riflessione: non si distingue un utente da un giocatore quando misuriamo l’apprezzamento sociale ed economico degli influencer - che sono il modello aspirazionale di successo - contando i follower e i like che raccogliamo rispetto a loro. Il Metaverso prende il modello di gioco dei social media e lo rende immersivo in quanto evoluzione del videogioco. Il Metaverso ha bussato alle nostre porte intorno agli anni 10 del duemila, incapace di trovare il giusto volano di crescita esponenziale come il modello dei social network di allora, probabilmente proprio perché la tecnologia e la cultura del tempo non si sono allineate a suo favore. Ma già quel fenomeno ha dimostrato, a quei pochi che ne hanno fatto parte, della rilevanza Gioco come e propria base esplicita di architettura sociale, politica, economica.
Con il Metaverso, il Gioco si rivela come destino. Un destino mediato dalla tecnologia. Nella realtà che si sta disegnando fra Intelligenze Artificiali, Blockchain e Realtà Virtuale o Aumentata, le macchine gestiscono le sfide, l’accessibilità alle risorse e anche le soluzioni a tali sfide. Quando si entra nella simulazione vissuta come per il reale, non si ha altra libertà che quella che le macchine consentono di avere. Le macchine sviluppano e amministrano le leggi dell’esperienza: la persistenza, la fisica, l’economia e le caratteristiche sociali sono guidate da algoritmi che governano il Gioco. Il cui scopo è farci giocare il più possibile.Dunque, alla fine, forse troviamo la risposta alla domanda: cosa ci renderà felici?
* Consulente Newton Spa
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy