di Angelo Flaccavento
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J'e taime. I versi di una poesia d'amore risuonano nel silenzio dei saloni Balenciaga su Avenue George V. Emanano da una cassa acustica che ha la forma di una borsetta, portata a mano da una modella issata su tacchi a stiletto, sigillata dentro una seconda pelle di neoprene, il volto annullato dietro uno schermo lucido e scuro. È un essere mutante, un segno nero, duro e verticale, lei come il plotone che la segue, arrivato dal futuro per camminare sulla moquette di un ambiente che invece profuma di passato.
La terza giornata della couture parigina inizia con lo show più atteso: visionario e carico di contrasti come è lecito aspettarsi da Demna, direttore creativo della storica maison, il cui talento è indiscusso, e sta nella capacità di creare un racconto ma soprattutto di fare i vestiti. «La dichiarazione d'amore non è rivolta ad una persona, ma a questo mestiere, che è l'unico che posso e voglio fare», dice. Se il debutto, lo scorso anno - Balenciaga presenta la couture solo a luglio e questa è la cinquantunesima collezione da che la casa fu fondata da Cristobal - era stato un omaggio fortemente espressivo all'archivio, questa nuova prova è più vicina all'idioma di Demna.
È suo il futurismo vagamente angoscioso, il dramma secco, il nero totale, l'ingegneria della crudezza, il misto di tecnologia - le borsette sono fatte in collaborazione con Bang & Olufsen, gli schermi con Mercedes - e tradizione - gli orli sembrano vivi, invece sono ricami. È sua anche una pesantezza consapevole e a tratti greve. La collezione segue un movimento inverso: parte nel futuro e termina nel passato - lo stesso passato su cui tutti si stanno ossessionando a questo giro; inizia con il neoprene - sostenibile, di calcare - per terminare con i corsetti e i faille, solo che adesso l'abito da ballo lo indossano lui e lei, indistintamente.
In questo flusso à rebours, lo show segue un ritmo bipartito: ad un certo punto gli schermi scompaiono, la musica si fa drammatica e la passerella è calcata dal freak show dei soliti noti con cui Balenciaga dialoga sopra ma anche lontano dai red carpet e le campagne pubblicitarie: Kim Kardashian, Dua Lipa, Nicole Kidman (foto in alto) È il momento altamente mediatico, ma anche il meno memorabile. Una cosa colpisce: la fragilità palpabile di queste pubbliche figure, nonostante la durezza sontuosa dei vestiti. Una certa immobilità blocca l'azione, a tratti, ma l'enunciato è sublime.
Anche Viktor & Rolf dividono lo show in due, opponendo lo strutturato e maschile allo spumeggiante e femminile, la tensione alla mollezza: basta uno smontaggio di sovrastrutture, una tirata di coulisse, una discesa dalle zeppe a favor di ballerine rasoterra e il gioco è fatto. Gli stessi abiti tornano in passerella due volte, nelle versioni contrapposte, e in mezzo ci tra una performance praticata dai due con una modella, a mo' di esplicazione. Il designer ospite da Gaultier Paris, questa stagione, è Olivier Rousteing di Balmain, fan dichiarato del buon Jean Paul. Dimostrando di cogliere insieme l'ambiguità profonda e lo humor della maison, Rousteing parte dalla boccetta del profumo Le Mâle - un torso muscoloso - che trasforma in vari corsetti femminili, con amenità selvagge e robotiche nel mezzo.
Ma è da Maison Margiela che la teatralità soverchia trova una nuova forma espressiva, realizzandosi in una opera d'arte totale che è una pièce teatrale durante la quale si gira un film vero. Il pubblico digitale vede solo il film, mentre gli spettatori in presenza catturano tutto, compreso il backstage: un incrocio perfetto, una coreografia ineccepibile di attori e operatori. L'opus si intitola Cinema Inferno ed è la storia di una fuga nel deserto americano che mescola generi e iconografie seguendo lo spirito affabulante dell'inimitabile John Galliano, direttore artistico della maison. Il risultato è trascinante. E i vestiti? Sono i costumi del film, ugualmente affabulanti ma divorati dall'azione scenica. Quel che colpisce, anche qui, è la citazione decisa degli anni cinquanta: sotto acido e lisergici, ma pur sempre tali. A Parigi è proprio restaurazione.
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