di Raoul de Forcade
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«Non ho mai avuto sentore, né tantomeno mi sono mai state manifestate da mio padre preoccupazioni sulle condizioni della sua opera. Non escludo possa averlo fatto con altri». Lo ha detto, a sommarie informazioni, Maurizio Morandi, figlio dell’ingegner Riccardo (1902-1989), il progettista del viadotto sul torrente Polcevera, il cui crollo, avvenuto il 14 agosto 2018, ha causato 43 vittime.
Maurizio Morandi era stato sentito dagli investigatori nei mesi successivi al cedimento del ponte e avrebbe dovuto essere ascoltato anche oggi in tribunale a Genova, ma l’udienza è slittata a martedì 9 maggio e, vista l’età avanzata del testimone, è stato deciso di acquisire una sua memoria e le sue dichiarazioni rese agli investigatori.
Durante l’audizione con la Guardia di finanza, il figlio di Morandi ha anche detto di avere depositato il progetto originario nel 1983 all’archivio di Stato. Da allora, nessuno avrebbe chiesto il progetto originario se non, nel 2015, l’azienda di ingegneria Edin, incaricata da Aspi di compiere gli studi propedeutici al retrofitting, il lavoro di rinforzo delle pile 9 e 10, mai realizzato.
«Sulla base della convenzione stipulata con l’archivio di Stato - aveva spiegato Morandi - ogni singola richiesta di consultazione o riproduzione doveva essere autorizzata da me e, nel ricordo della mia memoria, non mi sembra di aver ricevuto, oltre a quella di Fabio Brancaleoni (Edin), datata 21 luglio 2015, altre richieste».
Per la Procura, questa circostanza dimostrerebbe come la concessionaria, che avrebbe dovuto occuparsi della manutenzione e della sorveglianza del viadotto Polcevera, non aveva mai visto il progetto originario nella sua interezza.
Raoul de Forcade
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