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Balenciaga sfila alla Borsa di New York: «I soldi feticcio assoluto»

di Angelo Flaccavento

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Sfilata Balenciaga alla Borsa di New York

Sfilata Balenciaga alla Borsa di New York

Primo show lontano da Parigi in quasi due decenni. In passerella truppe incappucciate che raccontano come la moda può riscrivere o annullare l’identità del singolo.

23 maggio 2022
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2' di lettura

NYSE, la Borsa Valori di New York City: un luogo che come pochi rappresenta la voracità, l’avidità, l'ossessione plutocratica del mondo contemporaneo, ma anche la velocità, l’energia e l’aggressività della Grande Mela. Un posto simbolico, iscritto in modo permanente nell'immaginario collettivo, visto in mille film, spettacolarizzato dalla fantaeconomia splatter di infiniti telegiornali. In queste settimane è ricominciato il tam tam di una impellente recessione, con tutte le paure del caso. Adesso, il piano contrattazioni, quello delle urla feroci e degli schermi lampeggianti, diventa a sorpresa l’inedito teatro di un fashion show, annunciato da un invito in forma di mazzetta di dollari - finti, naturalmente.

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A Balenciaga e all’inesorabile Demna, immaginifico mastermind e artefice di trascinanti successi, il primato. Con un frisson, naturalmente: l’immaginario qui è cupo, angoloso, abrasivo, un po’ come questi anni plumbei e spendaccioni. È domenica mattina; la Borsa è inattiva, gli schermi sono fissi sulle chiusure del venerdì. Gli ospiti siedono su alti sgabelli. L’atmosfera è elettrica, carica di attesa: questo è il primo show in quasi due decenni che Balenciaga organizza fuori da Parigi. La stagione è la primavera 2023.

Al primo, pesantissimo beat della colonna sonora techno dopo la campanella di inizio sessione, è chiaro che siamo in un territorio di commentario distopico al presente e alla cultura che lo domina. Cappucci di lattice dal sapore fetish cancellano in modo disturbante l’identità dei modelli, quasi a sottolineare con sarcasmo la capacità della moda di riscrivere, o annullare, l’individualità del singolo, ma anche la crudeltà di una città come New York, dove il più delle volte si è nessuno. Il ritmo della sfilata è inesorabile, marziale: anche quando, per un breve interludio, i battiti industriali lasciano il passo alle note di «New York, New York», la truppa incappucciata attraversa la passerella con falcate decise - come ovunque sui marciapiedi della Big Apple.

La collezione è un movimento tripartito: apre il tailoring elevato e ruvidamente elegante della nuova linea Garde Robe, segue lo sbrilluccichio body conscious dei capi da sera, chiudono i colori saturi - accompagnati da cappucci di lattice in tinta, con molti ricordi del miglior Walter Van Beirendonck - della collaborazione con Adidas. Dappertutto, scarpe massimizzate, come sotto steroidi.

L’excursus tra demografie di clienti è ampio e ben studiato - non si tralascia nessuna fascia di età - perché è chiaro che Demna i vestiti li vuole anche vendere, e lo fa a meraviglia, trascinando l'intero sistema con i suoi volumi e le sue durezze. «La moda deve creare desiderio, e per farlo deve suscitare emozioni» dice nel backstage, anche lui incappucciato. La sfilata in questo senso centra il bersaglio. Il sottotono feticistico, poi, è terrificante quanto tempestivo «Gli abiti sono un feticcio, ma i soldi sono il feticcio assoluto» aggiunge. Una prova che brucia per urgenza e precisione, fatta di abiti che urgono essere indossati. Altro che storytelling, altro che pallidi concetti.

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