di Giovanna Mancini
Turismo, Garavaglia inaugura Bit: "Questo è l'anno della ripartenza"
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Il paradosso è che ora di lavoro ce n’è persino troppo e le aziende di allestimenti, che a causa della pandemia sono state ferme per quasi due anni, oggi si trovano costrette a rifiutare lavori e dirottare clienti su altre aziende competitor.
«Ricevo almeno una decina di richieste al giorno e devo dire molti no, a malincuore, perché non abbiamo la manodopera sufficiente per reggere questa domanda, ma soprattutto non abbiamo il tempo. La carenza di materiali è un problema, come per tutta la manifattura, ma quelli bene o male si trovano, magari pagandoli di più. Le professionalità, invece, non si trovano: vanno formate». Federico Sanmarchi, direttore generale di Arredart Studio, che realizza allestimenti personalizzati per fiere ed eventi, mostre e musei, è contento e preoccupato al tempo stesso: le attività fieristiche, e con esse il lavoro degli allestitori, sono ripartite a pieno ritmo e questo consentirà di recuperare in parte i ricavi perduti tra gennaio e febbraio scorsi, quando la diffusione di Omicron aveva portato al rinvio di quasi tutte le manifestazioni, con ricavi in perdita dell’80-85% rispetto alle attese per il settore allestimenti, che già aveva visto un crollo dell’80% nel 2020 e del 75% circa nel 2021.
L’altra faccia della medaglia, tuttavia, è che la riprogrammazione dei calendari espositivi ha portato a concentrare quasi tutti gli eventi tra aprile e giugno, creando non poche difficoltà al comparto degli allestitori, che si presenta a questa ripartenza «un po’ più debole», osserva Giovanni Vita, general manager della Tecnolegno di Cormano, una delle più grandi realtà del settore: «Questi due anni ci hanno devastati. E non tanto per la perdita dei ricavi, quanto per quella della manodopera e delle competenze – spiega Vita –. Oggi tutti siamo destrutturati, gli impianti non sono usati a pieno regime perché non c’è abbastanza personale. Noi avevamo circa 60 persone interne, con punte fino a 90 considerando i professionisti esterni e per alcuni cantieri arrivavamo anche a 200. Oggi facciamo fatica a mettere insieme una squadra completa di 60 addetti. Eppure il lavoro ci sarebbe».
Nei due anni di pandemia la filiera degli allestimenti (circa 500 aziende e 120mila dipendenti tra diretti e indiretti nel 2019) ha perso quasi il 40% del personale tra dipendenti e collaboratori, spiega Katia Celli, presidente di Asal, l’associazione degli allestitori aderente a FederlegnoArredo. Molti, temendo che il settore non si sarebbe ripreso, hanno preferito cambiare mestiere, cercando lavoro in altri ambiti, in particolare l’edilizia, trainata dal Superbonus e dagli altri incentivi. «Dopo la ripartenza abbiamo fatto molte assunzioni, quindi quella carenza in parte è stata colmata, ma serve tempo per formare le professionalità – aggiunge Celli – per questo sarebbe importante per noi ottenere dal governo misure ad hoc, come la decontribuzione sulla formazione e sui nuovi ingressi».
La presidente di Asal mette in luce anche il bicchiere mezzo pieno della situazione: «Siamo contenti, perché dopo l’ulteriore fermo di gennaio e febbraio ora c’è una grandissima domanda, anche superiore alle aspettative – dice Celli –. Quest’anno dovremmo riuscire a recuperare l’80% dei livelli di fatturato pre-Covid». Inoltre, se è vero che molte aziende devono rifiutare incarichi, è altrettanto vero che questo apre nuove opportunità a tante piccole aziende del settore che, in passato, non lavoravano per grandi espositori o per le fiere più importanti. «Per le imprese più piccole o giovani, questa può rivelarsi un’occasione per crescere».
Per molte realtà c’è stato anche un processo di ringiovanimento: «In questi mesi abbiamo assunto tanti giovani e l’età media dell’azienda si è abbassata di dieci anni – spiega Federico Sanmarchi –. Questo ci dà fiducia per il futuro, ma c’è bisogno di formare questi ragazzi e per farlo servono tempo e investimenti. Prima della pandemia eravamo in 32, poi siamo scesi e ora siamo in 31, di cui due terzi sono nuovi ingressi».
Quello della formazione è un tema molto sentito tra le aziende. «Purtroppo come filiera, fiere e allestitori, abbiamo perso un’occasione – ragiona Giovanni Vita –. Il governo, sebbene un po’ in ritardo, ha dato molti ristori alle imprese. Ma forse avrebbe dovuto destinare parte di queste risorse, più che a coprire i mancati ricavi, a sostenere la formazione dei dipendenti già in azienda, che invece in molti casi hanno preferito cambiare lavoro piuttosto che restare in cig per mesi, e dei nuovi assunti». Perché il mondo, nel frattempo, è cambiato radicalmente e richiede nuove strategie e nuovi servizi.
«Questo settore è troppo frammentato: oggi per crescere è necessario fare massa critica, in modo da competere a livello internazionale e offrire servizi a valore aggiunto», aggiunge Vita. Per questo Tecnolegno, che realizza all’estero il 75-80% dei ricavi, ha deciso di dedicare quest’anno di transizione a investire su nuovi impianti e in formazione: «Avremmo potuto forse raggiungere i 15-16 milioni di fatturato nel 2022, contro i 20 del 2019, ma preferiamo prendere meno commesse e prepararci per quando arriverà la piena ripresa del mercato. Chiuderemo a 11-12 milioni: preferiamo rifiutare qualche incarico e nel frattempo formare le persone attrezzarci per il futuro, con grande attenzione all’estero».
Di fronte ai profondi cambiamenti portati dalla pandemia – e ora aggravati dalla guerra in Ucraina – gli allestitori sentono la necessità di creare maggiori sinergie a livello di filiera, con gli organizzatori delle fiere. Per questo è stato aperto un tavolo di confronto tra Asal, Aefi (l’associazione dei quartieri fieristici) e Cfi (gli organizzatori delle manifestazioni): «Stiamo lavorando assieme per condividere i nodi e le esigenze delle nostre imprese, in modo da coordinare al meglio le rispettive attività – spiega Katia Celli –. Si è aperta una nuova fase di dialogo e collaborazione che trovo molto positiva. Questa filiera ha grandi potenzialità e, nonostante i timori che avevamo, il Covid ha fatto capire che le fiere sono una leva fondamentale per il made in Italy. Le aziende ci credono e hanno ricominciato a investire. Credo che nel 2023 torneremo ai livelli del 2019 e dal 2024 mi aspetto una crescita.
Giovanna Mancini
Redattore ordinario
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