di Marco Valsania
Il pastore evangelico americano Andrew Brunson, detenuto in Turchia da un anno e mezzo con l’accusa di terrorismo e spionaggio (Ap)
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New York - È l’uomo che, senza nulla potere, è alle spalle del tracollo della lira turca e della guerra economica e diplomatica tra Stati Uniti e Turchia che riverbera sui mercati del mondo. La strana storia è quella del 50enne Andrew Brunson, di professione e vocazione pastore evangelico, cittadino americano originario della North Carolina. Da ormai 23 anni in Turchia e dal 2016, per la precisione, nelle sue carceri (i media turchi riportano mercoledì mattina che un tribunale ha respinto l’appello per la liberazione), accusato dal governo di Recep Tayyip Erdogan di complicità nel fallito colpo di stato di quell’anno, di sedizione e legami con il leader religioso Fetullah Gulen che vive in esilio proprio negli Stati Uniti e la cui estradizione, per un presunto coinvolgimento nel golpe mancato, è da sempre cercata da Ankara.
Neppure un incontro nel pieno del dramma, lunedì notte alla Casa Bianca, tra il Consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton e l’ambasciatore di Ankara a Washington Serdar Kilic ha superato l'impasse. Bolton ha discusso “lo stato delle relazioni e la continua detenzione di Andrew Brunson” e, se qualcuno ritiene qualunque dialogo comunque incoraggiante, i toni sono rimasti gelidi: Bolton ha ammonito Kilic che non c’è nulla da trattare tra i due paesi se prima il predicatore non verrà liberato; Kilic non ha offerto alcuna concessione.
Occorre subito dire che la crisi - con pochi precedenti per virulenza - tra i due paesi della Nato va ben al di là del destino di Brunson. Questo è diventato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Mercoledì il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha firmato il decreto che rialza i dazi su alcuni prodotti di importazione Usa tra i quali automobili (del 120%),
alcol (140%) e tabacco (60%), e anche riso e creme solari. Lo riferisce l'agenzia Anadolu.
Nelle parole del Presidente Donald Trump, «i rapporti con la Turchia oggi non sono buoni». Non lo sono da almeno tre anni - anche prima dell’avvento di Trump. Rapporti erosi da numerose vicende irrisolte: anzitutto lo scontro sulla richiesta turca di sempre di una consegna di Gulen, rifiutata altrettanto da sempre dalla Casa Bianca (anche se la campagna elettorale di Trump aveva avviato contatti informali per un possibile accordo, poi annullati).
Altre dispute sono altrettanto tossiche. I dazi statunitensi sull’acciaio e alluminio, che hanno colpito anche Ankara - seppure il commercio nei metalli con gli Usa sia minimo - e sono stati raddoppiati in seguito alla vicenda Brunson. Come le sanzioni contro l’Iran, che minacciano di affliggere Erdogan perché Teheran è fornitore di energia al suo Paese: un accordo tra le due nazioni dura fino al 2026 e Ankara l’ha confermato. Il governo di Teheran ha subito espresso solidarietà alla Turchia nella disputa con gli Usa.
C’è poi l’annosa questione dei curdi a dividere Washington e Ankara: il sostegno americano alle milizie curde in Siria, in particolare lo YPG, e Iraq, che il governo turco considera alla stregua di terroristi. Di recente, inoltre, le due capitali si sono scontrate sulla decisione turca di stringere rapporti sempre più stretti con Mosca: ha scelto di comprare sistemi missilistici russi, per la precisione sofisticate difese anti-aeree S-400 al posto dei Patriot americani, che stando ai critici potrebbero mettere a rischio la compatibilità e sicurezza militare dell’Alleanza Atlantica. In Congresso si sono levate numerose voci che, in risposta, hanno chiesto la cancellazione della prevista vendita ad Ankara di velivoli F-35 di quinta generazione.
Né Stati Uniti e Turchia sono nuovi a darsi contro. Washington impose un embargo militare in seguito all’invasione da parte di Ankara della regione settentrionale di Cipro nel 1974, poi tolto quattro anni dopo. E la Turchia bloccò basi militare statunitensi durante quello stesso periodo, pur senza smantellare le strutture Nato e preservando il funzionamento di Incirlik. La dinamica incontrollata e l’escalation attuale fanno però temere che la situazione possa degenerare e diventare anche più pericolosa per il futuro della Nato e dei rapporti bilaterali. Le relazioni appaiono ridotte ai livelli minimi da decenni.
Ma chi è davvero Brunson, miccia di tanta crisi?
Probabilmente, in realtà, semplicemente una pedina. Ankara lo considera una merce di scambio per cercare di ottenere l’estradizione di Gulen e, assieme, la liberazione dell’executive della Halkbank, il 47enne Mehmet Hakan Atilla. Richieste che nel primo caso Washington respinge citando mancanza di prove adeguate per l’estradizione. Atilla è stato appena condannato a tre anni di carcere negli Usa per passate violazioni dell’embargo contro l’Iran e per riciclaggio di denaro.
Brunson fu arrestato in Turchia nel 2016 durante le purghe ordinate da Erdogan in risposta ad un tentativo di colpo di stato militare per rovesciarlo. Rischia una condanna all’ergastolo. È un pastore protestante alla guida della congregazione evangelica Izmir Resurrection Church - nella terza città turca per popolazione, Izmir appunto - che conta a malapena 25 seguaci. Ankara l’ha accusato di aver complottato con il movimento di Gulen e anche di spionaggio e eversione assieme al Pkk curdo, chiudendolo dietro le sbarre in una cella con 17 altri detenuti per simili reati.
Il caso per Trump e la sua amministrazione è rapidamente diventato un banco di prova cruciale per la sua America First e in particolare per mantenere il consenso della sua radicata base conservatrice e religiosa tra i repubblicani. Altri americani sono in realtà agli arresti in Turchia tra minor attenzione: un professore di chimica e suo fratello e uno scienziato della Nasa. Ma il vice-presidente Mike Pence, che dell’anima religiosa è la voce più influente, già in luglio aveva minacciato l’avvento di dure sanzioni proprio qualora Ankara non avesse liberato il predicatore. Detto fatto: dal primo agosto il Dipartimento della Giustizia ha messo al bando il Ministro della Giustizia turco Abdulhamit Gül e quello degli Interni Suleyman Soylu.
Brunson, laureato in studi teologici, è sposato e ha tre figli, sua moglie fu arrestata a sua volta con lui ma rilasciata dopo 13 giorni. Nel maggio 2018 una rara udienza sul suo caso, stando ad analisi delle agenzie federali americane, vide il giudice incaricato rifiutare qualunque testimonianza a favore di Brunson e dar credito alle più svariate teorie di cospirazioni senza prove - o meglio con prove e testimoni segreti - che suggeriscono complicità estesa dai mormoni agli evangelici e ai testimoni di Geova, tutti al servizio del Pkk curdo e del movimento islamico di Gulen.
Marco Valsania
Giornalista
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