di Carmine Fotina
Osservatorio Pnrr: la mappa dei 4,2 miliardi per la banda ultralarga
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Finanziare innanzitutto. Poi però bisogna realizzare. Anche nel settore delle telecomunicazioni questo sembra il vero problema del Piano nazionale di ripresa e resilienza, perché gli operatori chiamati a investire nelle reti chiedono semplificazioni vere per chiudere i cantieri programmati.
La principale associazione di settore e cinque tra le prime compagnie - operatori di rete fisse e mobili, fornitori di tecnologia e tower company - interpellati dal think tank I-Com Istituto per la competitività, bocciano la deregulation attuata dal 2018 a oggi con quattro provvedimenti: i decreti semplificazioni del 2018, 2020 e 2021 e il decreto legislativo 207/2021 che ha recepito il nuovo Codice Ue delle comunicazione elettroniche.
Lo studio, realizzato nell’ambito di Futur#Lab, il laboratorio sugli scenari delle tlc promosso da I-Com insieme a WindTre, si chiude con il bilancio netto di un insuccesso, perché delle 15 innovazioni complessive del quadro normativo analizzate, tra rete fissa e mobile, 9 presentano delle criticità, sono disapplicate o applicate a singhiozzo. Alle promesse dei vari decreti hanno fatto fin qui da contraltare - segnalano gli operatori - «la mancanza di armonizzazione a livello nazionale, criticità applicative legate a frequenti e diffuse violazioni dei termini normativamente previsti per il rilascio di nulla osta, pareri ed autorizzazioni, omissioni nella convocazione delle Conferenze di servizi e carenze partecipative (rispetto, in particolare ad Enac/Enav e Genio civile), forti ritardi nell’adozione delle ordinanze dichiarative del silenzio assenso e delle ordinanze di interruzione traffico ed occupazione suolo pubblico, ritrosie rispetto all’applicazione della disciplina sulle micro trincee (tecnica di scavo per la fibra ottica, ndr)». E all’elenco si aggiunge «l’ingiustificata ed illegittima applicazione, in spregio al divieto normativo vigente, di oneri ulteriori e diversi dal canone previsto» dalla legge 160 del 2019.
Le gare miliardarie del Pnrr per la banda ultralarga fissa e mobile, quasi 6,2 miliardi, dovrebbero allineare l’Italia agli obiettivi europei di raggiungere entro il 2030 una connettività di almeno 1 gigabit al secondo per tutte le famiglie europee e la copertura 5G in tutte le aree popolate. «Ma appare di tutta evidenza che risulteranno con ogni probabilità irrealizzabili - sentenzia lo studio I-Com - senza una parallela opera di semplificazione e sburocratizzazione, che finora non ha raggiunto i risultati attesi nonostante gli sforzi profusi, da ultimo dall’attuale governo».
In particolare, per le reti fisse, sono 5 su 9 i provvedimenti gravati da problematiche ancora irrisolte, senza contare l’inapplicabilità della semplificazione relativa alla Scia, intesa come istanza unica, per l’efficacia normativa cessata il 30 giugno 2020.
Nella telefonia mobile, le criticità riguardano 4 innovazioni su 6 a partire dalla mancanza di una pianificazione dell’insediamento dei siti 5G ad opera degli enti locali. Il 5G, per inciso, è al centro di emendamento parlamentare al disegno di legge per la concorrenza che è attualmente all’esame del Senato. Da un lato si punta a maggiori certezze agli enti locali, dall’altro proposte di Pd, Lega e Iv tornano a chiedere un ammorbidimento delle misure di contenimento dell’elettromagnetismo.
L’ultimissima novità sul fronte regolamentare, poi, piace davvero poco agli operatori mobili. Il rafforzamento della disciplina del golden power per la tutela degli asset strategici, contenuto nel Dl con gli aiuti per la crisi ucraina, introduce l’obbligo di un piano annuale con i dettagli delle forniture 5G che si intendono acquisire. «Ulteriori vincoli ed elementi di rigidità - criticano le compagnie di tlc - che possono portare a ritardi per lo sviluppo delle reti».
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Carmine Fotina
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