di Piero Fornara
Ucraina, continuano raid russi: esplosioni anche a Kiev
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Corea 1953, Vietnam 1973: certi eventi del passato aiutano a capire meglio anche il presente, immaginando ad esempio quale epilogo potrebbe avere la guerra in Ucraina. Nel 2023 troviamo due importanti ricorrenze: i 50 anni degli accordi di Parigi sul Vietnam, che confermavano al 17° parallelo il confine fra il Vietnam comunista e quello filo-occidentale; i 70 anni dell’armistizio di Panmunjom in Corea che, dopo tre anni di guerra, manteneva la divisione Nord-Sud lungo il 38° parallelo ed è tuttora in vigore.
Spenta l’euforia dei tre summit tra Donald Trump e Kim Jong-un del giugno 2018, febbraio e giugno 2019 (l’ultimo proprio a Panmunjom), sono invece riprese le consuete «intemperanze» del leader nordcoreano, che proprio il 31 dicembre ha lanciato tre missili a corto raggio, caduti nel Mar del Giappone.
Il compromesso per il Vietnam, raggiunto dal consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Henry Kissinger e dal rappresentante nordvietnamita Le Duc Tho, prevedeva la cessazione dei combattimenti, il ritiro di tutte le truppe americane e la restituzione dei prigionieri di guerra. Per raggiungere l’intesa c’erano stati, a partire dal 1968, ben 175 incontri tra le parti. Nella cerimonia del 27 gennaio 1973, svoltasi all’Hotel Majestic di Parigi, firmarono l’intesa il segretario di Stato americano William Rogers e il ministro degli Esteri del Nord Vietnam Nguyen Duy Trinh.
Ma sull’applicazione degli accordi non esistevano vere garanzie e nei due anni successivi in Vietnam ci fu la continuazione della guerra senza gli americani. Il 1974 fu anche l’anno delle dimissioni del presidente Richard Nixon - travolto dallo scandalo Watergate - sostituito dal suo vice Gerald Ford. Con l’inizio del 1975 scattò l’offensiva finale dei nordvietnamiti e dei vietcong (i partigiani comunisti del Sud Vietnam) fino alla caduta della capitale Saigon.
Nel frattempo però c’era stata, nel febbraio 1972, la storica visita di Nixon a Pechino, preparata in gran segreto da Kissinger. Dopo gli incontri con il presidente cinese Mao Zedong e con il primo ministro Zhou Enlai, per Washington «la guerra del Vietnam era diventata solo un elemento di disturbo secondario e perciò da togliere di mezzo nel quadro di una più ampia trama diplomatica», scrive Ennio Di Nolfo nella sua ponderosa “Storia delle relazioni internazionali dal 1918 ai giorni nostri” (Laterza, 2008). Il riavvicinamento tra Washington e Pechino derivò dalla rottura tra l’Unione Sovietica e la Cina e dall’attenzione che gli Usa dedicarono alle occasioni aperte da questa falla. «Una attenta analisi della situazione – aggiunge Di Nolfo - permise a Kissinger di circoscrivere fino a renderle irrilevanti le conseguenze della sconfitta che gli Stati Uniti avevano subito nella penisola indocinese».
Riavvolgendo la bobina della storia di altri vent’anni e rimanendo sempre in Asia orientale, l’evento internazionale da citare è la firma dell’armistizio in Corea, il 27 luglio 1953. Dove sarebbero le possibili analogie con la guerra in Ucraina? Secondo quanto ha scritto sul «Financial Times» giorni fa Gideon Rachman, «i riferimenti sono tre: né Russia, né Ucraina sono in grado conseguire una vittoria totale; le posizioni politiche delle due parti restano troppo lontane per raggiungere e firmare un accordo di pace; entrambi i paesi stanno subendo enormi perdite di vite umane».
Putin non è riuscito all’inizio dell’offensiva ad occupare la capitale Kiev e ha visto i suoi soldati ricacciati indietro da Kherson e da Kharkiv; Zelensky guida un paese distrutto dai bombardamenti e dai missili russi, con le città ucraine dove in diverse aree mancano l’acqua potabile, la luce elettrica e il riscaldamento. L’obiettivo del presidente ucraino di riprendere tutti i territori occupati, compresa la Crimea (annessa da Mosca nel 2014), ci fa immaginare combattimenti ancora più brutali, dopo le atrocità già compiute dai soldati russi in dieci mesi di guerra. Un cessate-il-fuoco favorirebbe invece l’invio degli aiuti internazionali per la ricostruzione; anche la Corea del Sud era completamente devastata dopo tre anni di guerra, mentre oggi è un paese sviluppato e prospero.
Di Crimea probabilmente gli italiani hanno sentito parlare la prima volta sui banchi di scuola, studiando il Risorgimento, quando ci fu la spedizione dei bersaglieri di Cavour. Ma Sebastopoli ospita la flotta russa del Mar Nero dai tempi della zarina Caterina II, verso la fine del XVIII secolo. Nel 1954 il leader sovietico Nikita Kruscev (originario di una zona al confine tra Russia e Ucraina) "regalò" la Crimea all’Ucraina, allora parte dell’Unione Sovietica (dopo la fine dell’Urss, Kiev mantenne la Crimea, consentendo la presenza della flotta russa a Sebastopoli con un accordo bilaterale).
Per entrare nei dettagli della guerra di Corea, abbiamo tenuto come fonte il volume “Dieci anni che cambiarono il mondo, 1941-1951 – Storia politica e diplomatica della guerra nel Pacifico” (Corbaccio, 1995), scritto da Giorgio Borsa (1912-2002), insigne studioso di Gandhi e del mondo asiatico, per oltre trent’anni docente all’Università di Pavia. In Estremo Oriente la vittoria militare sul Giappone nell’agosto 1945 era stata soprattutto opera degli Stati Uniti; così l’occupazione del paese dopo la resa fu un affare interno americano. Washington delegò i pieni poteri al generale Douglas MacArthur, che nell’impero del Sol Levante fu subito soprannominato lo “shogun dagli occhi azzurri”, vocabolo giapponese che significa letteralmente “generalissimo”, ma che indicava il capo del governo feudale (carica divenuta ereditaria della famiglia Tokugawa), terminato nel 1868.
In Corea invece gli americani non erano pronti a occupare l’intera penisola (dal 1910 sottoposta alla sovranità giapponese) e si fermarono dopo aver raggiunto la capitale Seul, proponendo ai sovietici – che accettarono – la divisione del paese sulla linea del 38° parallelo. Nell’arco di pochi mesi si costituirono pertanto in embrione due Stati coreani: a Nord comunista, a Sud filo-occidentale.
Quando, all’alba del 25 giugno 1950 le truppe nord-coreane varcarono la frontiera, MacArthur (subito informato) pensò a un semplice sconfinamento, ma ben presto risultò che si trattava di una vera invasione: era cominciata la guerra di Corea. Il 7 luglio il Consiglio di sicurezza dell’Onu (in assenza del rappresentante sovietico, che boicottava i lavori per la presenza di una delegazione della Cina nazionalista di Chiang Kai-shek) nomina il generale MacArthur comandante supremo sia delle forze alleate, che di quelle sud-coreane¸ sotto l’egida delle Nazioni Unite.
In ottobre la controffensiva interalleata raggiunse e superò il 38° parallelo, ma a questo punto la Cina di Mao Zedong, non potendo tollerare il crollo del regime nordcoreano e il posizionamento alle sue frontiere di truppe nemiche, decise di intervenire con l’invio massiccio dei “volontari” della fanteria. In dicembre cinesi e nordcoreani riattraversavano il 38° parallelo e il 4 gennaio 1951 entravano a Seul. «L’opinione pubblica americana, contagiata dall’isteria maccartista – scrive Borsa nel suo libro – era sempre più esasperata: MacArthur arretrava e i sinistri sacchi di plastica contenenti le salme dei caduti arrivavano sempre più numerosi». Alla fine della guerra di Corea i soldati americani uccisi in combattimento saranno più di 36 mila.
Le forze delle Nazioni Unite riuscirono comunque a fermare l’avanzata comunista su una linea a circa 125 km sotto il 38° parallelo e il generale Matthew Ridgway, comandante della VIII armata, poté riprendere l’iniziativa. Ma l’evento che ebbe maggiore effetto nella prospettiva di una soluzione negoziale fu la rimozione di MacArthur. A Washington il presidente Truman non gradiva gli atteggiamenti cesarei del generale, che aveva persino espresso l’intenzione di ricorrere alla bomba atomica contro la Cina e prospettato l’apertura di un secondo fronte da parte di Chiang Kai-shek. A distanza di nemmeno sei anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, aumentavano i rischi che iniziasse la Terza. E qui vengono in mente i riferimenti, più o meno espliciti, fatti da Putin e dal suo “numero due” Medvedev sul possibile impiego di armi nucleari in Ucraina.
L’11 aprile 1951 MacArthur ricevette un telegramma del presidente Harry Truman - il “piccolo uomo del Missouri” succeduto a Roosevelt - che lo sollevava dal comando e gli ingiungeva di passare le consegne al generale Ridgway. Annunciandone la destituzione in un discorso alla radio, Truman dichiarava: «Il generale MacArthur è uno dei nostri più grandi comandanti, ma la causa della pace mondiale è più importante di qualsiasi individuo». I giapponesi rimasero stupefatti della destituzione del grande capo militare, fatta con un semplice telegramma da un uomo politico civile: non apparteneva alla loro cultura, ma servì come lezione di democrazia, più di lunghe spiegazioni dottrinali.
Intanto una serie di contrattacchi settoriali del generale Ridgway aveva permesso la riconquista di Seul e il fronte si era stabilizzato. Il 23 giugno fu Mosca a proporre di avviare un negoziato per il cessate-il-fuoco, tramite il delegato sovietico all’Onu Jacob Malik (che era tornato al suo posto). Iniziò una trattativa defatigante, durata fino alla firma dell’armistizio a Panmunjom, il 27 luglio 1953. Nel frattempo a Washington il 4 novembre 1952 i repubblicani avevano strappato la Casa Bianca ai democratici, facendo eleggere nuovo presidente il popolarissimo generale Dwight Eisenhower. A Mosca il 5 marzo 1953 moriva Stalin e anche l’Unione Sovietica voltava una pagina “pesante” della sua storia.
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